Questa è una lezione universitaria della durata di un'ora. È rivolta ai miei studenti, ma se la leggete anche voi che studenti miei non siete, ne sarò lieta.
* * *
I monaci di Eco. Gravità e leggerezza.
Quando la cultura fa lo slalom dal basso verso l'alto.[1]
Quando la cultura fa lo slalom dal basso verso l'alto.[1]
di Jacqueline Spaccini
Umberto Eco. Il nome della rosa. Milano, Bompiani, 1980.
(Preferire dalla seconda edizione in poi, compresiva delle postille a cura dell'autore)
***
Dobbiamo affrontare un brano molto difficile del romanzo di Umberto Eco. Lo dovremo fare con gli strumenti narratologici di cui disponete.
Prima di addentrarci all'interno del testo, vediamo l'architettura del romanzo, assecondando le famose sei domande che dovete sempre porvi.
Le sei domande shakespeariane (chi, che cosa, dove, come, quando, perché).
Prima di addentrarci all'interno del testo, vediamo l'architettura del romanzo, assecondando le famose sei domande che dovete sempre porvi.
Le sei domande shakespeariane (chi, che cosa, dove, come, quando, perché).
E allora ora vi do tutte le risposte al riguardo del romanzo, senza i punti interrogativi. Ma ricordate che faremo innanzitutto solo una lettura di grado zero (il famoso degré zéro di scrittura di Roland Barthes, qui lo userò per la lettura) e che il romanzo richiede almeno 6 diversi tipi di lettura.
Cominciamo.
Cominciamo.
Io l'ho letto, nel 1980. Impiegai 2 giorni e mezzo per leggere 503 pagine. Ma ho avuto bisogno di un intero giorno - lunghissimo - per superare le prime 100 pagine: zeppe di latino. E poi c'erano passaggi in volgare, altri in una lingua inventata (una specie di esperanto echiano). Va da sé che per leggerlo in due giorni e mezzo, dovetti includervi anche le due notti.
Questo per dirvi che lo scoglio di difficoltà di lettura era tale da far desistere i lettori più accaniti. Più tardi, nelle "(a)postille", Eco spiegherà che aveva dovuto lottare con l'editore Bompiani per convincerlo a lasciare quelle prime 100 pagine così difficili. Lui voleva così. Lui voleva che il lettore che fosse riuscito a godere di quel romanzo fosse un lettore che aveva superato la "prova" (il tour de force) delle prime cento pagine.
Questo per dirvi che lo scoglio di difficoltà di lettura era tale da far desistere i lettori più accaniti. Più tardi, nelle "(a)postille", Eco spiegherà che aveva dovuto lottare con l'editore Bompiani per convincerlo a lasciare quelle prime 100 pagine così difficili. Lui voleva così. Lui voleva che il lettore che fosse riuscito a godere di quel romanzo fosse un lettore che aveva superato la "prova" (il tour de force) delle prime cento pagine.
Quindi, ricordiamo che è un romanzo, ma che è anche il primo romanzo di un semiologo, il quale assegna una parte importantissima non solo alle parole (come contenuti e come contenenti), ma anche alla durata delle parole.
Eco spiegherà - sempre nelle (a)postille - che quando un dialogo doveva condurre da un posto all'altro del luogo ove si svolge la storia, lo recitava ad alta voce camminando e percorrendo quei luoghi (sia pure metaforicamente). E il ritmo c'era.
Un linguista. Già, perché Eco (clicca qui per una biografia rapida)[2] non nasce come romanziere, bensì come professore universitario a Bologna.
Eco spiegherà - sempre nelle (a)postille - che quando un dialogo doveva condurre da un posto all'altro del luogo ove si svolge la storia, lo recitava ad alta voce camminando e percorrendo quei luoghi (sia pure metaforicamente). E il ritmo c'era.
Un linguista. Già, perché Eco (clicca qui per una biografia rapida)[2] non nasce come romanziere, bensì come professore universitario a Bologna.
Il romanzo si presenta come un giallo storico.
E questa è già una particolarità, perché adesso va di gran moda e se andate in una medio-grande libreria, troverete sezioni riservate al giallo storico - che è diventato genere a sé stante con anche diverse suddivisioni: giallo storico medievale, romano, greco, etc.
Però nel 1980, non è che se ne scrivessero tanti, di romanzi storici. C'era Ellis Peters[3] che aveva inventato il monaco Cafdael (1140 d.C.), in Inghilterra, ma i suoi cicli non aspiravano - all'epoca - ad essere presi sul serio.
Pura evasione, come tutti i gialli ( polizieschi, "policiers", "polars", "noirs" in francese), relax mentale e basta. Andate a rileggervi Breve storia del romanzo poliziesco di Leonardo Sciascia, se avete tempo.
Invece il romanzo di Eco fece sensazione.
Un successo mondiale che continua ancora oggi e che il film diretto da Jean-Jacques Annaud (Le Nom de la Rose, distribuito nel 1986) aiutò - in parte - a incrementare.
Sì vabbè, ma di che parla? Pazienza.
Ora vi metto un video del film e poi vi parlo della storia.
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Le Nom de la Rose - 1986
envoyé par mariodelpais
qui si parla della lingua (Guglielmo di Baskerville, Adso de Melk e Salvatore).
Allora: siamo in un monastero (un'abbazia, per la precisione), situato nei pressi della città natale di Umberto Eco, nel 1327 (La Sacra di San Michele, nel paese di San Ambrogio - Val di Susa, Torino), e risalente all'anno 1000. Nel film, gli interni sono stati girati in Germania, a Kloster Eberbach (abbazia cistercense fondata da Bernardo da Chiaravalle nel 1100, nei pressi di Wiesbaden).
Protagonista principale non è il narratore, bensì Guglielmo di Baskerville. E qui, di già, Eco comincia a dialogare col lettore, anzi a giocare con lui.
Perché Eco - se quando scrive non si diverte un poco con il suo lettore, non sta bene (e poi è il suo stile).
Narratore è dunque il novizio (= novice) Adso (ricordate? È un narratore omodiegetico - nel senso che è uno dei personaggi della storia che racconta - ma non è autodiegetico - perché non è il protagonista assoluto. La focalizzazione è interna e per ciò stessa non onnisciente).
Il protagonista è Guglielmo di Baskerville.
E che nome è? Altro rinvio intertestuale (un po' colto e un po' no) di Eco: Guglielmo viene da Guglielmo di Occam (francescano inglese e filosofo accusato di eresia; qui nel romanzo è invece un ex inquisitore; un inquisitore pentito) e di Baskerville viene da Conan Doyle - e allude al suo Sherlock Holmes - per il luogo di provenienza (cfr. il romanzo: Il mastino dei Baskerville).
Adso sarebbe un modo tutto echiano di storpiare il nome dell'assistente di Holmes, il dott. Watson. Questo per il gioco, visto che Adso-Watson assiste Guglielmo-Holmes (qui mène l'enquête).
Protagonista principale non è il narratore, bensì Guglielmo di Baskerville. E qui, di già, Eco comincia a dialogare col lettore, anzi a giocare con lui.
Perché Eco - se quando scrive non si diverte un poco con il suo lettore, non sta bene (e poi è il suo stile).
Narratore è dunque il novizio (= novice) Adso (ricordate? È un narratore omodiegetico - nel senso che è uno dei personaggi della storia che racconta - ma non è autodiegetico - perché non è il protagonista assoluto. La focalizzazione è interna e per ciò stessa non onnisciente).
Il protagonista è Guglielmo di Baskerville.
E che nome è? Altro rinvio intertestuale (un po' colto e un po' no) di Eco: Guglielmo viene da Guglielmo di Occam (francescano inglese e filosofo accusato di eresia; qui nel romanzo è invece un ex inquisitore; un inquisitore pentito) e di Baskerville viene da Conan Doyle - e allude al suo Sherlock Holmes - per il luogo di provenienza (cfr. il romanzo: Il mastino dei Baskerville).
Adso sarebbe un modo tutto echiano di storpiare il nome dell'assistente di Holmes, il dott. Watson. Questo per il gioco, visto che Adso-Watson assiste Guglielmo-Holmes (qui mène l'enquête).
Anche un personaggio importantissimo che ritroverete nel brano da analizzare e che porta il nome di Jorge da Burgos, bibliotecario cieco della meraviglia libraria che si trova nell'abbazia del romanzo, rinvia abbastanza facilmente a Jorge Luis Borges, lo scrittore argentino cieco, famoso tra l'altro per la sua concezione labirintica della biblioteca di Babele, di un mondo fatto di libri che parlano di altri libri.
Tutto molto facile se si è abituati a leggere molto, non solo libri della propria terra, non solo romanzi. Questa nostra è l'epoca postmoderna, non l'epoca della creazione, dell'innovazione, bensì l'epoca dello specchio (per chi ha tempo: si clicchi qui).
Questo e tanto altro in un romanzo lunghissimo ma che (dopo le prime cento pagine) si legge in un soffio, un romanzo di cui bisognerebbe osservare tutta la questione dell'eresia, del monachesimo [Guglielmo è francescano, Adso è benedettino (nel film c'è un errore deliberato nel colore della tonaca di Adso), i confratelli sono cluniacensi (= benedettini, c'è Bernard Gui l'Inquisitore domenicano, c'è la questione della povertà della Chiesa che oppone i Francescani - che sono pro - al Papa - che invece è contro -)].
La trama si capisce (se la si capisce: è in inglese) in questo trailer (bande annonce) molto ben fatto:
Le nom de la rose - trailer
envoyé par enricogay
video in inglese, con belle e suggestive immagini
Però, però... chi legge il libro (e chi vede il film), segue il giallo. C'è pathos: chi è l'assassino? Chi uccide chi? E perché? Ma soprattutto: come?
In realtà, Guglielmo si trova all'abbazia perché è stato chiamato a rappresentare l'imperatore - nella controversia pauperistica [chiesa povera]. E invece che cosa gli accade? Che viene coinvolto dall'abate ad improvvisarsi detective (ma è un frate filosofo e logico).
Stanno morendo dei monaci nell'abbazia e in modo orribile e misterioso.
Si dice che il diavolo circoli nel monastero. E, quel che è peggio, l'inquisitore Bernard Gui sta arrivando. Ma Guglielmo non crede che c'entri il diavolo nella morte orribile dei monaci. E ragiona. Troverà chi è l'assassino (e lo vedremo nella pagina da studiare in classe), in una storia in cui ci sono eretici settari, sapienti accecati dalla propria sapienza, e c'è anche posto per l'amore e il sesso (in quella che per Adso sarà la sua prima - e unica - volta).
Una soluzione all'enigma dei sette cadaveri che Eco-Guglielmo spiegherà alla luce della filosofia: tutta colpa di un libro di Aristotele.
E ora vi lascio con una domanda.
Il titolo del libro doveva essere L'Abbazia del mistero, poi Adso da Melk.
Infine, Eco - che è pur sempre un uomo coltissimo e non un mercante di bassa lega né un camelot - scelse Il nome della rosa, a seguito di questa frase latina che poi vi traduco:
la rosa esiste prima, e a prescindere dal suo nome, ma a noi non ne resta che il nome.
Che vuol dire, secondo voi, allora, aver dato come titolo al romanzo Il nome della rosa?
Quale ne è il significato, il messaggio dell'autore?
Riflettete.
Le nom de la rose - trailer
envoyé par enricogay
video in inglese, con belle e suggestive immagini
Però, però... chi legge il libro (e chi vede il film), segue il giallo. C'è pathos: chi è l'assassino? Chi uccide chi? E perché? Ma soprattutto: come?
In realtà, Guglielmo si trova all'abbazia perché è stato chiamato a rappresentare l'imperatore - nella controversia pauperistica [chiesa povera]. E invece che cosa gli accade? Che viene coinvolto dall'abate ad improvvisarsi detective (ma è un frate filosofo e logico).
Stanno morendo dei monaci nell'abbazia e in modo orribile e misterioso.
Si dice che il diavolo circoli nel monastero. E, quel che è peggio, l'inquisitore Bernard Gui sta arrivando. Ma Guglielmo non crede che c'entri il diavolo nella morte orribile dei monaci. E ragiona. Troverà chi è l'assassino (e lo vedremo nella pagina da studiare in classe), in una storia in cui ci sono eretici settari, sapienti accecati dalla propria sapienza, e c'è anche posto per l'amore e il sesso (in quella che per Adso sarà la sua prima - e unica - volta).
Una soluzione all'enigma dei sette cadaveri che Eco-Guglielmo spiegherà alla luce della filosofia: tutta colpa di un libro di Aristotele.
E ora vi lascio con una domanda.
Il titolo del libro doveva essere L'Abbazia del mistero, poi Adso da Melk.
Infine, Eco - che è pur sempre un uomo coltissimo e non un mercante di bassa lega né un camelot - scelse Il nome della rosa, a seguito di questa frase latina che poi vi traduco:
la rosa esiste prima, e a prescindere dal suo nome, ma a noi non ne resta che il nome.
Che vuol dire, secondo voi, allora, aver dato come titolo al romanzo Il nome della rosa?
Quale ne è il significato, il messaggio dell'autore?
Riflettete.
Invito alla lettura
[...] Personalmente ho trovato nella tematica del postmoderno un modo interessante per rivisitare la letteratura precedente attraverso procedimenti citazionistico-ironici. Ma se ci pensiamo bene questo lo avevamo teorizzato nella seconda riunione del Gruppo ‘63, quando due anni dopo nel ‘65, si diceva che ormai il romanzo sperimentale era arrivato a un punto zero. Come in pittura si era arrivati alla tela bianca, in poesia alla pagina vuota, in musica al silenzio, così anche nella narrativa si era raggiunto un point of no return. Mi ricordo che Renato Barilli diceva di recuperare un’avventura “altra”, che non fosse quella tradizionale, ma al contrario fosse densa di nuove sperimentazioni.
Quindi quando ho iniziato a scrivere romanzi mi sono ispirato piuttosto a quei discorsi che si facevano allora in merito a un recupero della narratività attraverso l’ironia oppure, come si suol dire, la “decostruzione” narrativa, termine che però non amo usare. Da qui il mio gusto per gli incassamenti dei punti di vista, i flashback o le strutture temporali molto complesse e soprattutto per la metanarrativita’, dove il romanzo riflette su se stesso e sulla propria forma. Se tutto questo è tipico del postmoderno allora mi ci ritrovo, come nel caso del doppio codice, secondo cui se in architettura postmoderna si possono fare citazioni del frontone del Partenone o di una cupola di Borromini e poi ci può essere l’utente che coglie questa citazione basata sul gioco e sull’ironia, e quello che non la coglie ma gode ugualmente di una struttura architettonica bizzarra, altrettanto nei miei romanzi, che sono così densi di allusioni intertestuali, ci può essere questo doppio codice... [...]
L'intervista è di Alessandra Fagioli (2003) ed è tratta da Lettera Internazionale n. 7 (clicca qui per leggerla tutta)
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Quindi quando ho iniziato a scrivere romanzi mi sono ispirato piuttosto a quei discorsi che si facevano allora in merito a un recupero della narratività attraverso l’ironia oppure, come si suol dire, la “decostruzione” narrativa, termine che però non amo usare. Da qui il mio gusto per gli incassamenti dei punti di vista, i flashback o le strutture temporali molto complesse e soprattutto per la metanarrativita’, dove il romanzo riflette su se stesso e sulla propria forma. Se tutto questo è tipico del postmoderno allora mi ci ritrovo, come nel caso del doppio codice, secondo cui se in architettura postmoderna si possono fare citazioni del frontone del Partenone o di una cupola di Borromini e poi ci può essere l’utente che coglie questa citazione basata sul gioco e sull’ironia, e quello che non la coglie ma gode ugualmente di una struttura architettonica bizzarra, altrettanto nei miei romanzi, che sono così densi di allusioni intertestuali, ci può essere questo doppio codice... [...]
L'intervista è di Alessandra Fagioli (2003) ed è tratta da Lettera Internazionale n. 7 (clicca qui per leggerla tutta)
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[1]Lezione introduttiva al brano "la violenza del riso" destinata ai miei studenti non specialisti di italiano cursus IT8A.
[2] Sì, anche wikipedia va bene, se si ha solo un'ora per spiegare tutta un'opera.
[3] Pseudonimo di Edith Mary Pargeter (1913-1995)
[2] Sì, anche wikipedia va bene, se si ha solo un'ora per spiegare tutta un'opera.
[3] Pseudonimo di Edith Mary Pargeter (1913-1995)
17 commenti:
Senza troppi giri di parole, senza sopenti figure retoriche, rispondo spontaneamente e scarnificato.
Rimane il segno di ciò che viviamo, ed Eco, in uno slancio di pidduismo, reifica il nome come legge della natura, cosciente benissimo che non esiste alcuna legge di natura che non sia data da una nostra prospettiva morale.
Sognatore autoritario, Eco odia qualsiasi forma di spontaneismo, e preferisce parlare del nome, della rosa, piuttosto che della rosa; perché parlare della rosa vuol dire fare il giardiniere, parlarne del nome, vuol dire essere linguista. Ma non si tema, Eco è già passato, dacché la realtà torna, torna anche se non la si vuol più vedere, anche se si è logicisti, linguisti, post-moderni o archeleogisti. Finirà anche questa corrente di figli di papà che hanno imparato dai migliori amanuensi a impiastricciare pezzi di carta acquistati nella borghese cartoleria azzimata.
Eco è già finito nel momento in cui si è dato, perché ha scelto di dire per non dire, solo un'eco (sostantivo femminile singolare), appunto.
Caro Anonimo,
apprezzo il tuo argomentare (per quanto, personalmente non sia d'accordo sulla questione "figli di papà"). Uno dei miei scrittori preferiti è Silvio D'Arzo, quindi puoi capire quale sia il tipo di scrittura che amo. Però è anche vero che sono un'appassionata di Paul Auster (quindi la letteratura che parla di sé).
Mi piacerebbe ti firmassi, in calce al tuo scritto e mi piacerebbe altresì rileggerti (qui o altrove).
Professoressa,
il mio argomentare è ferito, ma in quanto sanguinante, rende visibile la carne e le ossa.
Ad un occhio poco avvezzo, sembrerà una ferita, ad un occhio un pò più esperto, si rivelerà come parte di un uomo.
La domanda è: (e) quando la ferita si chiuderà?
Aufhebung
Uhm... Hegel.
Stai negli Abruzzi,
mi dai del "lei" e dunque hai almeno 20 anni meno di me oppure - al contrario - 20 di più.
Se mi prendi in giro oppure no, questo non so. Insieme a tutto il resto.
Ed aggiungo.
Se crede che rilevare il luogo di connessione, o ipotizzare età dallo stile della scrittura, siano dei mezzi che utili per far progredire il dialogo, credo che siamo sulla strada sbagliata.
Detto questo, capisco che in rete non ci si può fidare di chiunque, è successo anche a me.
Confesso che ho dovuto leggere più volte i tuoi interventi per capirne il senso.
Confesso di non averlo capito.
Confesso altresì che se ho capito qualcosa, era in un brutto senso, per cui avrei dovuto forse inalberarmi e rispondere punto per punto.
Dovrei preferire una lettura dei tuoi commenti piuttosto che un'altra.
Sicché, finalement, je préfère ne pas préférer et ne répondrai pas, sinon par cette brève réplique en langue française.
A questo punto, l'incomprensione è totale.
Evidentemente il mio intervento non è stato gradito.
Non ho altro da aggiungere. Ho già detto tutto con il primo intervento.
Buonasera.
Grazie.
(I proff sono a volte anche - ingiustamente, ma umanamente - permalosi. E io non faccio eccezione)
Buonasera.
L'assassino torna sempre sul luogo del delitto, ed io non faccio eccezione.
Anch'io adorerei essere Vattimiano, con tanto di documenti alla mano, a spiegare per filo e per segno le cose come vanno.
Purtroppo però la realtà che noi crediamo di percepire integralmente è già di fatto manipolata, fosse anche dal netturbino che di notte viene a togliere la busta dell'immondizia che con cura prepariamo.
Ho infatti sentito parlare del gruppo del '63, e non c'è che dire: Eco, Angela e compagnia sono stati senz'altro dei pionieri, grandissimi professionisti e uomini di talento straordinario.
Guardiamo però da vicino il talento, rispetto a cosa? Rispetto al '68? Qualcuno sa indicarmi la posizione di Eco rispetto al '68? La mia non è una domanda provocatoria, ma una richiesta di aiuto che proviene dalla mia ignoranza. Per quello che ne so, e che non fa che essere in coerenza con il primo post, Eco ha avuto posizione alquanto anti-democratiche circa gli eventi del '68, primavera di Praga compresa.
Ec(c)o ciò che io contesto, non il professionista Eco (forse più di tanti scrittori, davvero, professionale e preparato, di questo se volete se ne può parlare) ma la professione. Dacché la professione è proprio il paravento dietro il quale, lo ammetto, è facilissimo nascondersi. Proprio quel paravento che lo stesso anonimo di cui sopra, che spero si presenti (magari è Eco in persona? Magari!), ha contestato nel mio "prof.ssa".
Dubito che il mio intervento sia stato compreso, e non lo dico per vanteria, ma perché ho l'impressione che regni l'ermeneutica come scienza, che secondo me è la morte dell'uomo.
Rino
Gentile Rino,
a me riesce difficile capire per quale motivo lei ce l'abbia così a morte con Eco.
Ma non è questo il punto.
Il punto è che il mio blog è aperto anche a chi ce l'ha a morte con Eco (Dico "a morte" per semplificare, eh, non mi faccia le pulci).
E non debbo dimostrare nulla, a posteriori, né cercare di convincere chicchessia.
Non l'ho mai fatto in vita mia, né mai lo farò, neanche per vantare la bontà (evidente a mio avviso) delle interiora (trippa, rognone, pajata, fegato, e così via) a chi detesta anche soltanto sentirle nominare.
Si figuri la letteratura. Si figuri Umberto Eco.
Questa era una semplice lezione universitaria per i miei studenti del primo semestre, i quali facendo l'italiano come opzione L3, hanno (ormai: avevano) difficoltà a capire argomenti letterari.
Stia bene,
JS
Gentile Jacqueline,
grazie dello spazio concesso.
Saluti
Rino
Ho eliminato un commento su richiesta del suo autore.
Ho eliminato un commento, perché venina menzionata una persona la quale - legittimamante - non desidera essere citata.
Ma reintroduco il commento, mettendo al posto del nome e cognome cancellati, una serie di x e di y, nonché di z.
===================
Imiterei il frainteso Xxxx Yyyyyyyyyy, alias Zzzzzzz, alias anonimo, nel chiamarLa Professoressa. Non per prenderLa in giro, bensi' per sottolineare la nobiltà del titolo. E' per questa ragione che Eco diede al suo protagonista chiave, Guglielmo da Baskerville, la funzione di maestro. Pur non essendo mai onnisciente al maestro si sono da sempre assegnate le più altre onirifiche.
La forza di un maestro emana almeno da queste tre ragioni: il non cristallizzare il suo sapere proteggendolo in un labirinto a prezzo della vita ma offrendolo agli ingenui novizi; il mantenere sempre attizzato il fuoco della curiosità, motore principale del sapere, il rimettersi sempre in questione.
Finita la lunga introduzione enfatica mi "accingo a" delucidare l'incomprensione che ha avvolto questo blog.
Il primo post di Xxxx ha voluto essere un complimento per Eco ma ai suoi occhi ha avuto l'apparenza di un disgusto. Evocando i figli di Papà, Xxxx rievocava (conoscendolo o meno) il contenuto della pagina 11 dell'articolo echiano Il Gruppo '63, quarant'anni dopo, da cui cito: "Noi siamo stati una generazione che ha iniziato a entrare nell’età adulta quando tutte le opportunità erano aperte, ed eravamo pronti a ogni rischio, mentre i nostri maggiori erano ancora abituati a proteggersi l’uno con l’altro". Spero di aver con le mie parole -rispetto alle vostre- aver tolto le ambiguità.
Occorre tener sempre presente che senza le montagne gli echi non esistono. Allora grazie per le montagne.
Qualsiasi rece su Eco ha senso, anche quelle più negative.
Eco, che rimane comunque un divulgatore, arricchisce chiunque lo legga.
Il nome della rosa (oppure, di Roma, per non far completamente torto ai versi precedenti) è stato all'epoca una scommessa.
"Di ciò di cui non si può teorizzare si deve narrare" e la decisione può riguardare sia ciò che non sappiamo, sia ciò che non possiamo indagare con mezzi ortodossi.
Le foto dell'epoca di Eco (1978/79/80 ecc...) ce lo rappresentano a volte insolitamente accigliato o impaurito, mentre normalmente ha (aveva) quel sorriso pantagruelico e l'approccio disponibile con tutti.
https://mediamenta.wordpress.com/tag/umberto-eco/
Interessante per tenere i neuroni in fermento!
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