Illustrazioni di Monica Incisa.
Nel suo Psychanalyse des contes de fées (1976), Bruno Bettelheim ha smontato tutte le fiabe a noi più note, mostrandocene gli aspetti più reconditi, i significati più complessi: così abbiamo appreso l’ambivalenza di Cappuccetto Rosso; quanto poco raccomandabile sia l’amore paterno nei nostri confronti; che il rapporto della matrigna Crimilde con Biancaneve è uno scenario che ricorre nella quotidianità madre-figlia più banale; ed anche perché una Belle delusa dall’affascinante ma insipido Principe infine sottratto al suo triste sortilegio, preferisse in lui la Bestia dai tratti ripugnanti e l’intelligenza vivace…
Così facendo, però, Bettelheim ha distrutto in noi quell’aderenza onirica che da bimbe ci vedeva affascinate dai mondi incantati in cui noi eravamo di volta in volta le pudiche Cenerentole o le incaute Rosaspine.
Poi c’è anche, naturalmente, la vita vera. Per esempio di noi che non viviamo da tempo la condizione di figlie, ma che anzi siamo passate dall’altra parte del ponte, ed abbiamo uno o più figli. Immancabile transito è quella fascia d’età in cui solitamente la madre (troppo raramente il padre) racconta una fiaba per sera al proprio piccolo, prima del bacio della buonanotte, subito seguìto dal clic fine-giornata dell’interruttore di una lampada dalle forme più bizzarre.
Succede che – nella vita vera – ci siano donne che scrivono abitualmente, come Mia Lecomte. Quando poi una donna che scrive – come Mia – ha tre figli, si trova tosto o tardi a corto di storie. E allora, sull’onda delle richieste e un po’ controvoglia, comincia a raccontare una favola nuova. Inventa per i suoi figli una favola sua. Visto che Mia Lecomte è anche poeta, accade che la favola concepita sia in rima. Così penso sia nato Tiritere, opportunamente – quanto legittimamente – dedicato a Irina, Marianne e Alexis.
Sono storie raccontate – in modo bislacco e divertente – da tre libellule che amano il dolce far niente. C’è, per esempio, la favola della figlia di un re la quale, a cagion della sua ciccia, si chiama Biglia. Qual è il suo problema? Mordeva ogni cosa/la bimba golosa, da buona davvero/a proprio schifosa. E il povero re (ma si fa per dire) a supplicarla: Eppure ti prego,/ e sono sincero,/ di non divorarti/ l’intero maniero. C’è anche la vicenda del tacchino che la sua mamma salva dall’orrido destino di pietanza natalizia. Tra alti e bassi, ambizioni pazzesche e volontà di ferro, il tacchino, di nome Natale, cercherà in tutti i modi di affrancarsi dalla tirannia materna: Ancor non è chiaro/ma tutto d’un botto/Natale si mise a/ suonare il fagotto./ Suonava all’oscuro/da Madre-Regina/riempendo di danze/la reggia-cantina./Suonava felice/ormai senza freno/via via più incosciente/del proprio ripieno. E poi ci sono le storie di un mago inesperto, un gallo tenore, un mulo e un cappello, un topo e un maiale, un gatto ubriaco e bislacco convinto d’essere un russo cosacco…
Dopo la lettura delle gustose fiabe-poesie di Mia Lecomte, allietata dalle simpatiche illustrazioni di Monica Incisa, le mamme avranno da affrontare un nuovo dilemma… E se mi cimentassi anch’io? E con quale fortuna? Ma non c’è da aver paura: il pubblico, foss’anche uninominale, è assicurato.
[Jacqueline Spaccini, Parigi 2001]
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