sabato 6 luglio 2019

ARTE POVERA. Pascali, Kounellis, Pistoletto

Arte povera
 
Il critico genovese Germano Celant parla dell'ARTE POVERA:





Due esempi, due amici: Pino Pascali e Jannis Kounellis

Pino Pascali



foto prelevata da:  https://www.barbarapolvora.com/about/

Pino Pascali

Pugliese di nascita, romano di adozione, aveva terminato gli studi presos l'Accademia di Belle Arti e frequentava gli artisti per i quali Alberto Arbasino coniò il termine la Scuola di Piazza del Popolo. Pascali lavorò dal 1964 al 1968, anno in cui muore, a 33 anni, a seguito di un incidente stradale all'altezza del Muro Torto a Roma. 

Il suo lavoro è ascritto al movimento Arte Povera (dominato dal critico genovese Germano Celant che attribuì tale nome a un gruppo di artisti nelle pagine della rivista Flash art nel 1967, riprendendo l'aggettivo *povero* dal teatro del ceco Grotowski.

Gli anni '60 del secolo scorso, erano gli anni della rabbia che però a Roma esplode in maniera più ludica, per criticare la guerra senza fare la guerra. 

Gruppo d'arte dalle individualità apolitiche, come Celant afferma, con l'idea che l'arte si muove, non è statica, è in continuo divenire. 

Si trasforma, non è più un'entità bloccata, ma possiede una energia che viene sottolineata non attraverso la rappresentazione come nella fotografia o nella pittura rinascimentale. È un divenire libero, rispetto a qualunque dominanza.

Celant la chiama guerriglia, vale a dire una sorta di microbattaglia quotidiana alle consuetudini borghesi. Arte non più rappresentata, ma in atto (Celant)

Gli elementi di 32 mq di mare circa non sono saldati tra loro, ma si staccano, hanno una loro imprevedibilità (cfr. foto qui sotto). L'armonia in cui gli italiani eccellono e sanno rispettare, sanno anche trasgredirle. E questo non è un disvalore.




http://www.museoradio3.rai.it/dl/portali/site/articolo/ContentItem-cf2d007b-bd4a-47d8-9d8c-8bc44946b496.html

Pascali ha frequentato anche la POP che in Italia è un po' diversa da quella americana; è un modo per parlare di qualcosa di nuovo ma che fa anche un po' ridere.

Divertente ma impegnato, curioso ma consapevole. Rabbioso all'epoca della Biennale cui era stato invitato contro i poliziotti e contro gli studenti che chiedevano di boicottare la Mostra di Venezia.

Angela Vettese racconta 32 mq di mare circa (link per accedere all'audio del sito rai)


Jannis Kounellis

Greco di Atene, stanziatosi ventenne a Roma, classe 1936.
Il flusso continuo dell'ispirazione e dell'azione, sull'onda della sua ammirazione per l'americano  Cy Twombly.

Adotta materiali naturali (arte povera), installazioni e performance con elementi simbolici e non manipolabili come legno, pietre, fuoco e carbone, ma anche animali vivi, come manifestazione di energia vitale. La forza positiva della natura è espressamente visibile nei suoi lavori col carbone o con gli animali.

Jannis Kounellis

Nel quadro del 1967 (Senza titolo), si vede una struttura di metallo grigio e un pappagallo legato a un trespolo che fuoriesce dalla struttura.

Celant dice che la struttura grigia è industriale, rigida, meccanica e americana (contro la Minimal Art).  Che cos'è il pappagallo? Vola, è simbolo della libertà ma che è un uccello con un becco potente e può mordere, come l'arte. Simbolo del Sud, con la sua vitalità naturale, incatenato alla cultura americana. Rappresentazione che veicola una serie di messaggi politici, dialogo tra industria e natura, tra libertà e prigionia. Tutta una serie di riflessioni di presa di posizione dell'arte di Kounellis, a favore della cultura del povero.

Jannis Kounellis dal blog: http://federicobartoliniartolico.blogspot.com



Michelangelo Pistoletto

Con un ruolo di spicco nell'ambito dell'Arte Povera (poi dell'Arte Concettuale), questo biellese che abbiamo visto di recente (clicca qui nel 29/01/2017)  ospite in una trasmissione tv condotta da Fabio Fazio, mi fa pensare al postmoderno (pensando alla serie degli specchi).

Michelangelo Pistoletto qualche anno fa


Contiguità tra le icone bizantine (pop primordiale)  con le icone moderne. Il fondo oro rappresenta il divino, il trascendente (nell'icona). La domanda di Pistoletto è stata: chi sono io rispetto al trascendente? Lo spazio incognito che è il fondo oro allo specchio che riproduce la realtà immanente presente e futura in un continuo cambiamento, in un accoglimento continuo, sicché lo spazio da incognito (come l'infinito) si è fatto cognito.

Assisi bosco di S. Francesco http://www.stradadeivinidelcantico.it



Al Louvre nella sua opera entra il pubblico e insieme la storia della pittura antica. Quadro specchiante: la gente fotografa il quadro specchiante sé stesso e la Monna Lisa.

E in un'altra galleria, la VNH  Gallery, spacca tutti i suoi specchi (articolo in lingua francese):

video dell'azione 


Oggi l'arte non può prescindere dallo spettatore, l'artista è libero nella sua responsabilità (Estetica & Etica).

La rappresentazione dell'idea. Non esistono più gli -ismi (nati a dire di Pistoletto dopo l'invenzione della fotografia):impressionismo, cubismo (mettere insieme tutti i punti di vista), espressionismo (grido di Munch), surrealismo (il sogno l'irrazionale), tutti nati dopo l'avvento della fotografia.

Dice Pistoletto: a quel punto, l'artista non può più essere il mestierante della riproduzione, allora l'artista si chiede: serve ancora l'arte? Allora inizia un'indagine introspettiva. 

E ci si rende conto che  l'arte è qualcosa di più che una riproduzione.

Michelangelo Pistoletto, Other Artists and I -  Photo 2019©JSpaccini


Jacqueline Spaccini

martedì 25 giugno 2019

Laure Cambau, LA RAGAZZA DIPINTA DI BLU, traduzione dal francese di Jacqueline Spaccini

LA FILLE PEINTE EN BLEU 
raccolta poetica di Laure Cambau
è uscita nella traduzione italiana
a cura di Jacqueline Spaccini
per i tipi di LietoColle



Seguendo le regole, l'oste non può decantare le virtù del vino che offre. Ma può farlo decantare.

pittura italiana: anni Cinquanta. Capogrossi, Colla e Burri


  Pittura italiana del secondo dopoguerra. Tre artisti: Capogrossi, Colla e Burri

dopo esser stato un bravissimo autore di pittura figurativa - detta tonale - della Scuola di Roma


Capogrossi, Ballo sul fiume, 1935 @Jacqueline Spaccini 

dopo il breve periodo neocubista, a partire dai primi anni Cinquanta, Giuseppe Capogrossi approda a un astrattismo segnico del tutto personale, che assomiglia a un ideogramma, ripetendo certune forme sempre uguali e sempre diverse; contemporaneo sì, ma con qualcosa di antico, anzi di primitivo, di primordiale, con quelle sue forme (che assomigliano a pettini o a forchette) sempre aperte mai chiuse. 

Si tratta di un unico segno che però si coniuga con infinite variazioni e per ciò stesso è infinito.


Capogrossi (credit: fondo Paolo Monti)






Video:


 


il percorso di Capogrossi:





Ettore Colla 
tutto ha origine da Duchamp, ma gli oggetti di Colla non sono ready made, non sono objets trouvés, bensì costituiti da materiali di recupero, come per esempio il ferro, già usato, ma riverniciato (cfr. video qui sotto)E lui assembla, e assemblando crea una scultura per lo più astratta, un po' DADA, ma senza provocazioni.







Alberto Burri 

il più complesso, il più noto, il più internazionale. Quello del punteruolo, dei buchi, degli squarci, della fiamma ossidrica. Controvers, oggi un classico della pittura contemporanea italiana.

Filone materico dell'informale, con un'istanza anti-intellettualistica dell'arte. Laddove c'è spazio, esso è solo il luogo del colore. Dapprima abbiamo come tela dei vecchi sacchi, poi dal 1956 niente più tele, bensì materie artificiali. Nel 1969 utilizza creta o caolino + vinavil. I soggetti saranno catrami, muffe, neri, cretti. Nel 1984,  ci sarà il grande Cretto bianco di Gibellina (a seguito del terremoto del 1966 che distrusse la città). Trauma del sisma, trauma della morte.


Qui di seguito, il link - all'indomani della sua morte - con le parole del collega Achille Perilli in una registrazione allo radio (clicca qui),al riguardo dell'origine dei sacchi di juta (luoghi comuni) e del ruolo di Roma, «ambiente vivissimo», quando vi giunse. 

 Infine, l'intervento di Massimo Recalcati su Burri (da 22'16"a 58'53"): sul grande Cretto di Gibellina a  tanti anni di distanza dalla sua creazione, da lui inteso come un'elaborazione del lutto.

Il tema della ferita è,  secondo lo psicoanalista, il grande tema di fondo di Alberto Burri.

Nel realizzare un'opera è ancora la bellezza il compito ultimo dell'artista? Secondo Recalcati, così è per Burri. Senza escludere la ferita, bensì ospitandola. Per meglio dire, la ferita (lo squarcio, la bruciatura) è elevata alla dimensione più alta della bellezza.



                                                                                                           
Jacqueline Spaccini  ©2019


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Credits: Miriam Mirolla- Guido Zucconi, Arte del novecento 1945-2001 (a cura di Rita Scrimieri), Milano, Mondadori Università, 2002 (ediz. 2019)

ARTE ITALIANA DEL NOVECENTO: 1945-FINE ANNI CINQUANTA

 Dopo la Seconda Guerra Mondiale. L'arte italiana resta in Italia.

Dilemmi: l'arte deve essere collegata all'azione politica oppure no? L'arte è ideologia oppure no? L'arte ha contenuti specifici per una propaganda ideologico-propagandistica oppure no?
L'arte visiva può essere avulsa da un impegno politico all'indomani della caduta del fascismo oppure no?

Fondamentalmente si parte da qui, nel 1945, all'indomani del conflitto bellico.

Ma al di là della scelta delle varie correnti, occorre tener conto della risposta del partito di riferimento, il PCI.

1. L'arte è essenzialmente antifascista. E questa è la base comune. Nasce come esperienza post-cubista.
2. L'arte non subisce vessazioni da parte del partito. Oppure sì, segue le indicazioni del partito.
3. Nel primo caso, si va verso l'astrattismo, Nel secondo caso, si resta nel figurativo.

Conseguenza: i gruppi si sciolgono e abbiamo le personalità artistiche individuali.

Quali sono queste correnti?

1945-1949 FNA: FRONTE NUOVO DELLE ARTI
contenuti: siamo tutti antifascisti - l'arte è storia - il figurativo è narrativo e didascalico (cfr. Guttuso, Boogie-Woogie a Roma) - astrazione di tipo post-cubista (cfr. Pizzinato, Primo Maggio)

artisti:  Guttuso, Pizzinato, Birolli, Argan, Vedova,Viani, Levi, Morlotti, Santomaso e tanti altri
manifesto
mostra BIENNALE Venezia 1948
opere (esempio) Guttuso, Boogie-Woogie a Roma, 1953, olio su tela, 169,5 x 206,5, Monaco, Staatsgalerie der Modernen Kunst

www.arte.sky.it 

Boogie-Woogie a Roma è un quadro figurativo di stampo realistico e didascalico con citazione interna. Già a partire dal titolo,si criticano le mode americane importate in Italia, il consumismo. La critica è  evidenziata anche dal quadro riprodotto in fondo alla sala (riproduzione di una celeberrima tela di Mondrian - qui un po' tagliata).

L'ingerenza del PCI che dalle pagine di Rinascita stronca come «mostruose» le opere presenti alla Prima Mostra d'Arte Contemporanea  di Bologna nel 1948 mette il gruppo nelle condizioni obbligate di prendere posizione, giacché l'articolo è firmato da Roderigo di Castiglia, uno pseudonimo dietro il quale si cela Palmiro Togliatti, che segue la linea zdanoviana. 
Figurativo o astratto? Guttuso si schiera per il figurativo e si radicalizzerà su tale scelta. Con lui: Sassu, Pizzinato, Zigaina, Trombadori, Treccani.
Vedova si distacca.  Il gruppo si scioglie. 
I dissidenti costituiscono il gruppo FORMA 1 (Vedova - insieme con Birolli e Morlotti, aderirà più tardi al Gruppo degli Otto).

1947-1951 FORMA 1

contenuti: esistenzialismo + politica (gli artisti restano pur sempre marxisti), arte libera, arte non contaminata dall'ideologia di partito, astrattismo, forme pure, colore, armonia, arti plastiche, vicini a Ungaretti, Ripellino, Balla, Lionello Venturi, no impegno legato al partito, arte comunque rivoluzionaria e avanguardistica
artisti:  Accardi, Attardi, Sanfilippo, Viani, Dorazio, Perilli, Turcato
manifesto
mostra Praga 1947
opere (esempio)

Carla Accardi nel suo studio
source:  WP:NFCC#4

Carla Accardi, Rosso verde, 1968

credit: http://news-art.it


1948-1958  MAC: MOVIMENTO PER L'ARTE CONCRETA


contenuti: no alla rappresentazione della realtà, movimento antinaturalistico, aniconico, internazionalizzazione, design [cfr. Bauhaus]
artisti:  Soldati, Munari, Dorfles, Fontana, Perilli, Nigro
manifesto no - si rifà a van Doesburg e Kandinskij (1930 arte concreta)
mostra Libreria Salto, Milano, 1948
opere (esempio)

Mario Nigro, Dallo spazio totale, 1953-1954

Artgate Fondazione Cariplo


1950-1951 GRUPPO ORIGINE

contenuti: arte non figurativa, ingenua, primordiale, libera dal passato, rinnovata
artisti:  Ballocco, Burri, Capogrossi, Colla, Cagli, Villa
manifesto no, esiste uno pseudo manifesto che in realtà è una introduzione al catalogo + editoriale rivista AZ fondata da Ballocco a Milano (quadro di Ballocco)
mostra galleria privata del gruppo, Roma, 1951
Ci furono molti contrasti di tipo personale all'interno di questo gruppo che subito si sciolse. Dissidi anche tra Milano e Roma
opere (esempio)

 Si rimanda all'archivio della vedova Ballocco  (clicca qui) e al video youtube qui di seguito:


Epilogo:

Noi oggi pensiamo soprattutto a Capogrossi, Colla e soprattutto Burri, i quali forse meritano un discorso a parte nel panorama della pittura italiana del dopoguerra, scorporati dai gruppi ai quali aderirono.


Jacqueline Spaccini 
©2019
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Credits: Miriam Mirolla- Guido Zucconi, Arte del novecento 1945-2001 (a cura di Rita Scrimieri), Milano, Mondadori Università, 2002 (ediz. 2019)

domenica 10 marzo 2019

Tra repressione e assimilazione. Gli schiavi a Roma


Tra repressione e assimilazione. Gli schiavi a Roma

Lezione del prof. Andrea Giardina per l'Archeomitato
Riassunto autorizzato dall'autore
10/03/2019 Roma


La schiavitù a Roma è durata secoli. Attraverso una violenta, terrorizzante, repressione. Certo, di sicuro, ma non solo; per dirigere e controllare gli schiavi per secoli violenza e terrore non bastano: c'è un'altra faccia della schiavitù.

Iniziamo dalla fine: siamo nel 449 d.C., trent'anni prima della fatidica data della caduta dell'Impero Romano d'Occidente. Ci troviamo nell'accampamento di Attila. È un aneddoto, quello che segue, narrato da un ambasciatore romano, Prisco, che attende di essere ricevuto dal re. Siamo probabilmente in area danubiana, in un grande accampamento fatto di tende.

Per chi non lo ricordasse, Attila è re di un regno, quello degli Unni, che va dall'Ucraina al Reno. Nella mente e negli occhi, i lettori avranno di sicuro l'affresco di Raffaello, l'incontro di papa Leone Magno che ferma Attila:

Raffaello, Incontro Leone Magno e Attila, 1513-1514 Stanze Vaticane

Mentre l'ambasciatore Prisco passeggia nervosamente per l'accampamento un unno, un barbaro, si rivolge a lui con questo saluto:  Khaire  [χαίρε], salve in greco. E di lì nasce un dialogo.

- Come mai parli greco?
- Perché io ero greco.

Lo schiavo prende a spiegare: era commerciante in Grecia, quando era stato catturato in seguito a un combattimento, eseguito sotto la bandiera dell'Impero Romano d'Oriente. Come schiavo, aveva poi combattuto nell'esercito unno e in seguito ottenuto una parte del bottino. Con questo aveva riscattato la libertà, si era in seguito sposato con una donna del luogo ed era divenuto Unno lui stesso.

E conclude: ora io sono molto più felice tra gli Unni che un tempo tra i Romani. E perché mai? Perché la società degli Unni è giusta (= equa), quella dei Romani è ingiusta, come il suo Codice che per uno stesso reato punisce con la morte uno schiavo e con una semplice ammenda un cittadino romano.
Allora Prisco cerca di difendere la giustizia romana nei confronti degli schiavi e dice: I Romani trattano meglio gli schiavi. E ribadisce, l'ambasciatore: tra i Romani molti sono i modi di ottenere la libertà

Nel nostro immaginario collettivo, quando pensiamo alla schiavitù al tempo dei romani, ci viene in mente subito un celebre film di Stanley Kubrick: Spartacus (1960), quello con Kirk Douglas.

Spartacus crocifisso




locandina del film


Il favoloso Spartaco kubrickiano è uno schiavo ribelle protosocialista, merita di essere (ri)visto, se capita.

In realtà, noi poco sappiamo della condizione di vita degli schiavi a Roma ed è anche chiaro perché. L'arte antica non ci dà che poche rappresentazioni della schiavitù, se non ancillare (Pompei). Perché non era soggetto degno di interesse. Anche se andiamo a vedere le rivolte, ce ne saranno due in tutto.



Invece la pittura contemporanea, dall'800 in poi, si è interessata alla schiavitù romana. Eccone alcuni esempi del pittore francese Jean-Léon Gérôme:

Gérôme, Mercato degli schiavi a Roma (1884)

Gérôme, Mercato di schiave


Gérôme, Vendita delle schiave a Roma, 1886

È una pittura con un elemento (neanche troppo, NdR) ambiguo: sono quadri sensuali e morbosi insieme (l'attardarsi sul nudo integrale femminile che la scena "storica" consente), un côté voyeuristico nel mostrare la schiavitù femminile che presuppone un dominio sessuale che va al di là del rapporto padrone-schiavo.

Tornando agli antichi Romani, per loro liberare gli schiavi è tutto sommato facile.

Lo schiavo liberato ottiene la cittadinanza (sia pure di serie B): può votare ed eleggere magistrati, ma non può essere votato né eletto magistrato. Si tratta di un elettorato passivo. Il figlio del «liberato», invece, potrà godere dell'elettorato attivo: votare ed essere votato (ed eventualmente eletto console, perché no?).

CITTADINO ROMANO vuol dire libero e cittadino di Roma: non è poca cosa. 
Uno schiavo romano poteva divenire libero anche a seguito di un esecuzione testamentaria, post mortem. Oppure per manumissio oppure semplicemente invitato alla mensa del suo padrone

Questa è una particolarità della Roma antica: un cittadino può rendere uno schiavo cittadino a sua volta. È un UNICUM nella storia. 
In Grecia, infatti, per rendere cittadino uno schiavo liberato occorreva una delibera dell'assemblea. A Roma no, si è individuali, ONE TO ONE (i Romani sono quelli del quisque faber non del fatum, come i Greci, NdR).
Ma qual è il mondo degli affrancati? A differenza degli schiavi, il mondo dei liberti è rappresentato nell'arte: ci sono disponibilità finanziarie e quindi ci si può far erigere un mausoleo, un sarcofago, etc.
In fin dei conti, si tratta di parvenus che imitano il mondo dei ricchi romani. È un'imitazione sociale. 

tomba del fornaio liberto arricchito, il fornaio Eurisace
monumento funerario di liberto

Petronio Arbitro lo fa assurgere a protagonista nel suo Satyricon con il personaggio di Trimalcione nella celeberrima cena. Essere liberto è uno status, non una classe sociale. Si può essere poveri o ricchissimi.
Ecco l'interpretazione dell'opulenza dell'ex-schiavo ora ricchissimo liberto - ma sempre uomo a metà, nel film di Federico Fellini:

Fellini Satyricon - 1969

Il fatto è che pur libero, un liberto non riesce mai a essere un vero romano, così come il borghese non avrà mai modi aristocratici.

Assistiamo dunque all'assimilazione dello schiavo che porta a un arricchimento di culture, dal momento che gli schiavi provenivano da tutte le parti del mondo.

Lo dicevano anche i nemici dei Romani: per esempio, in una lettera [epigrafe] inviata nel 217 a.C. dal re di Macedonia Filippo V, nemico dei Romani e alleato di Annibale nella Seconda Guerra Punica. 
Filippo V è un uomo colto che scrive prima della più grave tragedia della storia romana, prima della battaglia di Canne: Se volete essere potenti dovete fare come i Romani, quelli che quando liberano gli schiavi li fanno cittadini e per questo sono diventati potenti.


Filippo V di Macedonia

Perché il re macedone scrive questo? 
Perché nel mondo antico gli schiavi non combattono. Gli eserciti sono composti dai cittadini.
Tanti cittadini, grandi eserciti.

Anche se ci furono battute d'arresto - come durante la guerra sociale -, sconfitte con decine di migliaia di morti, avvenute duecento anni prima della nascita di Cristo, come quelle che Roma subisce nella battaglia del Ticino, della Trebbia, del Trasimeno e soprattutto di Canne (attuale Barletta, Puglia) avrebbero messo in ginocchio qualunque potenza, che avrebbe visto distrutto il suo esercito. Ma Roma no.

Immaginiamo Annibale convinto ogni volta di aver vinto e che invece si ritrova davanti a sé, ogni volta, nuovi eserciti. Se Roma non avesse avuto il rimpiazzo dato dagli schiavi liberati, e dunque cittadini, tutto questo non sarebbe stato possibile.

Così si capisce meglio anche la Constitutio Antoniniana, la cittadinanza romana elargita a tutti da parte dell'imperatore Caracalla nel 212 a. C.


ritratto di Caracalla


Scrive Tito Livio: sembrava che da Roma un fiume umano scorresse incessantemente per riempire i campi di battaglia. 

La capacità di resistere all'avversa sorte (e non solamente la capacità di offendere, nel senso di attaccare) è uno degli elementi che arricchiscono l'automythology romana).

Scrive Plutarco in Vita di Romolo (9,3) che i primi Romani dettero asilo a tutti gli schiavi fuggitivi:

IL PROF. ANDREA GIARDINA LEGGE UNO STRALCIO DI VITA DI ROMOLO

Se questo luogo sacro intitolato al Dio Asilo è anche il primo nucleo della città eterna, allora vuol dire che probabilmente erano schiavi fuggiti dai loro padroni. Ecco un altro elemento che differenzia i Romani dai Greci.
Per i Greci i romani erano bastardi (etimologicamente parlando); per sé stessi loro rivendicavano invece ascendenze divine. I Greci erano ossessionati dall'idea della stirpe, della razza. Mentre  i Romani erano immigrati promiscui. Eppure Atene passa per democratica e Roma no.

Altro  tema, a questo proposito, da approfondire sarebbe quello della consanguineità: importante per i Greci, riprovevole per i Romani.

Erano razzisti, i Romani? Xenofobi?

Scrive Giovenale (I sec. d.C.) di essere insofferente nei confronti degli stranieri (Satire, vv. 58-125); la sua non è xenofobia (paura degli stranieri), bensì xenopatia (fastidio, insofferenza).
Tutti questi forestieri che vengono dalla Siria, dall'Egitto, dalla Tracia etc, non sono pericolosi, bensì fastidiosi.

Ma i Romani non sono forse quelli che distrussero Gerusalemme, deportarono gli Ebrei in quanto ribelli? Non vi vede forse la Menorah* nell'arco di Tito a Roma?


MENORAH - ARCO DI TITO - ROMA

©Jean-Christophe Benoist ARCO DI TITO

Tacito si chiede se i Romani fossero antisemiti, provassero disgusto verso gli Ebrei. Eppure, non esistevano ghetti presso i Romani. Il ghetto è un'invenzione medievale in terra italica (XIV sec., a Venezia).

I Romani non hanno discriminazioni etniche.

Cornelio Nepote ci dice di comprendere le usanze altrui, quelle non romane. A proposito del matrimonio tra consanguinei tra i Greci è normale, scandaloso per i Romani; per i Greci  scandaloso ammettere le donne al banchetto, mentre per i Romani è normale.
Questo relativismo culturale fa grande Roma.

Ma i Neri? I Romani li chiamano tutti Etiopi. Se a una donna romana nasce un figlio nero è perché ha avuto rapporti sessuali (consenzienti oppure no) con un uomo dalla pelle nera. Per i Greci, invece, se una donna greca mette al mondo un bimbo «nero» è perché ha incontrato sulla sua strada un uomo di colore e ne è rimasta «impressionata». Come nella celebre Tammuriata nera:





In un epitaffio funebre di un padrone che ricorda il suo schiavo nero, c'è scritto che se la sua pelle era come quella del bronzo di Corinto, aggiunge che la sua anima era composta di candidi fiori e «per questo non ho mai smesso di amarti».

Ci ricorda una poesia, Bimbo nero, di William Blake: [...] I am black, but O! my soul is white... [sono nero ma la mia anima è bianca].

In verità, i Romani provano repulsione anche verso i nordici, a causa della loro pelle troppo bianca, gli occhi troppo chiari. Allora il razzismo presso i Romani? Beh, di sicuro non è questione di pelle, dal momento che hanno schiavi bianchi.

E concludiamo con il simbolo di Roma: la lupa.

Simbolo di ferinità, di animale selvatico, simbolo di potenza, lupa imperiale.
Emblema di accoglienza.
Ha allattato Romolo e Remo.
Animale accogliente.

lupa capitolina


In Siria, esisteva un mosaico del VI sec. d.C. che ora non esiste più. Forse è stato distrutto, forse smantellato  e trasportato altrove, inserito in qualche ricca villa. Non lo sappiamo. Era una sorta di tappeto musivo all'interno di un ospedale della Siria romana. Era un'immagine consolatoria, una favola bella e accogliente. Come dire:


Sarai accolto qui come un tempo la lupa accolse Romolo e Roma.



mosaico del VI sec. d.C. in Siria

Trascrizione della lezione del prof. Giardina 
a cura di Jacqueline Spaccini
Roma, 10 marzo 2019
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*La menorah era posta all’interno del Tempio di Gerusalemme fino al sacco della città da parte di Tito (70 d.C.) il quale la fece scolpire nella scena di processione trionfale su un altorilievo del proprio arco nel foro (fonte: https://www.archart.it/menorah.html)



lunedì 11 febbraio 2019

Quattordici antiche chiese di Roma

Per l'esame di storia dell'arte medievale all'università di Tor Vergata, occorre, tra l'altro, saper descrivere 14 luoghi sacri cristiani, perloppiù chiese, tra le più antiche - se non le più antiche - di Roma.

Ecco la lista:

1. arcibasilica S. Giovanni in Laterano 312 d.C. la prima in assoluto. Cattedrale di Roma, costruita su un terreno periferico precedentemente di proprietà della famiglia dei Laterani, per volere di Costantino I.

2. antica basilica di S. Pietro 320-333 d.C. [non esiste più] a 5 navate. Sul luogo in cui sarebbe stato seppellito S. Pietro dopo la crocefissione.  Per volere di Costantino. Basilica cimiteriale in origine.
 Quella che conosciamo prende l'avvio nel 1506.

3. basilica di S. Paolo fuori le mura 324 d.C., è la terza basilica papale di Roma. Voluta da Costantino, sul luogo in cui S. Paolo sarebbe stato martirizzato e decapitato. Fu ristrutturata da Teodosio (391). Fu ricostruita in gran parte a seguito del gravissimo incendio colposo del 1823.

4. arcibasilica di S. Maria Maggiore 352 d. C., la prima eretta per volere di un papa, Liberio. Ristrutturata  nel 432 da papa Sisto III. Culto della Madonna, impossibile prima del 431 (la maternità divina è riconosciuta solo nel Concilio di Efeso).

5. battistero lateranense: eretto insieme con la basilica, da Costantino. A pianta centrale, di forma ottagonale. Modificato da vari papi, a partire da Sisto III (432 d.C.).

6. basilica di S. Clemente (basilica superiore) rifacimento basilica IV sec. per volere di papa Pasquale II - inizio XII sec. connessa al convento domenicano. Romanica.

7. mausoleo di S. Costanza 354 d.C. il più antico mosaico absidale, con un Cristo imberbe e anche i mosaici delle volte del mausoleo. Circolare con un ambulatorio. Contiene oggi una copia del sarcofago di Costantina

8. S. Agnese fuori le Mura 342 d. C. 

9. S. Pudenziana fine IV sec. 

10. S. Prassede 489 (come titulus) IX sec.

11. chiesa di S. Maria in Trastevere IV sec. poi modificata nei secoli VIII e IX. Attuale:  XII sec (1138)

12. chiesa di S. Cecilia in Trastevere (titulus V sec.) Modificata da papa Pasquale I (XII-XIII sec.)

13. SS. Quattro Coronati (IV sec., nota dal VI sec, ampliata nel VII sec.). È un monastero.  Basilica ricostruita da papa Pasquale II nel 1111.

14 Oratorio di S. Silvestro 1246

mercoledì 16 gennaio 2019

La fortuna (e sfortuna) critica di Caravaggio secondo Roberto Longhi


La fortuna (e sfortuna) critica di Caravaggio secondo Roberto Longhi



Roberto Longhi (1890-1970), che è il più famoso critico di Caravaggio, nonché il suo ri-scopritore e maggior estimatore del XX secolo, si avvicina al pittore nel 1910,  ventenne, nell'ambito della biennale di Venezia. L'anno successivo, diverrà oggetto della sua tesi di laurea, con il prof. Toesca.
Nel libro cui faccio riferimento in fondo a questa pagina (nella sezione credits), il critico piemontese ragiona sulla fortuna - o più precisamente - sulla sfortuna di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, a causa della sua esistenza che scatenerà nei secoli un forsennato psicobiografismo (il termine è mio). Una sfortuna che equivale a un ridimensionamento artistico da imputare per lo più ai critici d'arte. Li enumera.


1. Giovanni Baglione, una sorta di Vasari di fine '600, e come il Vasari pittore anch'egli, querelò Caravaggio per versi offensivi e la cosa finì in tribunale (per approfondimenti, clicca qui)

2. Giovanni Pietro Bellori, lo dice pittore del naturalismo, lo accomuna al Cavalier d'Arpino (lui manierista), tutti e due comunque condannabili, a fronte di un  Annibale Carracci, che è esaltato.

Se poca fortuna (etica = estetica) raccoglie in Italia, in ragione della vita dissennata (lo psicobiografismo di cui sopra), diversamente, in Olanda [non dimentichiamo che Rubens farà acquistare ai Gonzaga la scandalosissima Morte della Vergine, rifiutata dai frati della Scala per cui l'opera era stata commissionata] e Spagna, è valutato Michelangelo Merisi. 


3. Vicente Carducho dirà che Velazquez è un secondo Caravaggio.

4. Joachim Sandrart, a fine '600, in Germania, è ben conscio della portata rivoluzionaria del pittore bergamasco.

5. Anche in Francia, a Parigi, sul finire del secolo, André Félibien (des Avaux) ebbe modo di apprezzarlo,  per quanto sotto l'influenza di Poussin (e si sa che Poussin detestava Caravaggio), perlomeno per quanto riguarda il colorito (ma dette zero alla composizione e al disegno).

6. Nel '700, poca fortuna incontra la pittura del Merisi; Pellegrino Antonio Orlandi nel suo Abcedario pittorico, dice di lui che il suo  è un «gran tignere di macchia furbesco».

7.  Francesco Algarotti gli renderà merito, ma anacronisticamente farà del Caravaggio il Rembrandt [lui scrive: Rembrante] italiano.


Osserva Longhi che tutto sommato, ex malo bonum: essere passato inosservato e caduto in disgrazia, lo ha tenuto al riparo dalle spoliazioni napoleoniche (all'epoca è la pittura bolognese a trionfare). Ma è indispettito dal fatto che neppure il grande Goethe non spenda parole sul Caravaggio durante il suo passaggio italiano. 

8. Nell'800, il negativo di turno è il gesuita Luigi Lenzi  il quale qualifica così i soggetti del Caravaggio: «Ubriacatezze, astrologie, compre di commestibili»...

Bisogna aspettare un passeggiatore solitario, straniero, che verso il 1830 parla con simpatia di Michelangelo Merisi, portando nella sua patria un ritratto romantico che avrà come effetto la creazione di un dramma, Caravage (1834), scritto da Charles Desnoyer et Abboise.

9. Questo viaggiatore che tanto ama l'Italia è Stendhal.

10. A metà '800, nell'Europa del Nord, Caravaggio è  sempre torbido, ma un torbido eroe nell'Handbuch der Geschichte der Malerei von Constantin dem Grossen bis auf die neuere Zeit , il manuale di Franz Theodor Kugler (1837). Scrive Longhi : «l'artista assume tratti che lo renderebbero quasi adatto a comparire nei Phares di Baudelaire [clicca qui per leggere il poema]; ciò non avverrà per altre ragioni; principalissima quella che al Delacroix subito sopravviene il Courbet» (p. 135).

11. Quel Courbet che ha qualcosa di Caravaggio nella sua pittura, naturalistica - scriverà Jakob Burckhardt - come quella del pittore seicentesco. Lo scrive nel 1855, analizzando un quadro del pittore borgognone di L'après-dîner à Ornans (1849). Come dargli torto? 



Ma ora Longhi ne ha abbastanza:  già all'inizio di questo excursus aveva dichiarato «darei al macero, senza troppo rimpianto, tutte le biografie principali dell'artista» (p. 131-132). 

Ascolterebbe volentieri le parole del Maestro Valentino, rivenditore di quadri a San Luigi dei Francesi, una sorta di Durand-Durel ante litteram, sempre secondo il critico piemontese. Ma anche i commenti del marchese Giustiniani con il quale Caravaggio dialogava.

E gli italiani? Nulla, «hanno già il Rinascimento alle spalle del Caravaggio» (p. 136). C'è già tanto di cui vantarsi. 

Ma nel 1951, a Milano, a Palazzo Reale, c'è la mostra sul Caravaggio e i Caravaggeschi. La cura Roberto Longhi. 

E Caravaggio diventerà definitivamente uno dei più grandi.

Risultati immagini per mostra milano caravaggio e i caravaggeschi 1951Jacqueline Spaccini
16/01/2019
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Credits: Roberto Longhi, Caravaggio (Roma, Editori Riuniti, 1982, pp. 131-136)