Pittura italiana del secondo dopoguerra. Tre artisti: Capogrossi, Colla e Burri
dopo esser stato un bravissimo autore di pittura figurativa - detta tonale - della Scuola di Roma
Capogrossi, Ballo sul fiume, 1935 @Jacqueline Spaccini |
dopo il breve periodo neocubista, a partire dai primi anni Cinquanta, Giuseppe Capogrossi approda a un astrattismo segnico del tutto personale, che assomiglia a un ideogramma, ripetendo certune forme sempre uguali e sempre diverse; contemporaneo sì, ma con qualcosa di antico, anzi di primitivo, di primordiale, con quelle sue forme (che assomigliano a pettini o a forchette) sempre aperte mai chiuse.
Si tratta di un unico segno che però si coniuga con infinite variazioni e per ciò stesso è infinito.
Capogrossi (credit: fondo Paolo Monti) |
il percorso di Capogrossi:
Ettore Colla
tutto ha origine da Duchamp, ma gli oggetti di Colla non sono ready made, non sono objets trouvés, bensì costituiti da materiali di recupero, come per esempio il ferro, già usato, ma riverniciato (cfr. video qui sotto). E lui assembla, e assemblando crea una scultura per lo più astratta, un po' DADA, ma senza provocazioni.
Alberto Burri
il più complesso, il più noto, il più internazionale. Quello del punteruolo, dei buchi, degli squarci, della fiamma ossidrica. Controvers, oggi un classico della pittura contemporanea italiana.
Filone materico dell'informale, con un'istanza anti-intellettualistica dell'arte. Laddove c'è spazio, esso è solo il luogo del colore. Dapprima abbiamo come tela dei vecchi sacchi, poi dal 1956 niente più tele, bensì materie artificiali. Nel 1969 utilizza creta o caolino + vinavil. I soggetti saranno catrami, muffe, neri, cretti. Nel 1984, ci sarà il grande Cretto bianco di Gibellina (a seguito del terremoto del 1966 che distrusse la città). Trauma del sisma, trauma della morte.
Qui di seguito, il link - all'indomani della sua morte - con le parole del collega Achille Perilli in una registrazione allo radio (clicca qui),al riguardo dell'origine dei sacchi di juta (luoghi comuni) e del ruolo di Roma, «ambiente vivissimo», quando vi giunse.
Infine, l'intervento di Massimo Recalcati su Burri (da 22'16"a 58'53"): sul grande Cretto di Gibellina a tanti anni di distanza dalla sua creazione, da lui inteso come un'elaborazione del lutto.
Il tema della ferita è, secondo lo psicoanalista, il grande tema di fondo di Alberto Burri.
Nel realizzare un'opera è ancora la bellezza il compito ultimo dell'artista? Secondo Recalcati, così è per Burri. Senza escludere la ferita, bensì ospitandola. Per meglio dire, la ferita (lo squarcio, la bruciatura) è elevata alla dimensione più alta della bellezza.
Jacqueline Spaccini ©2019
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Credits: Miriam Mirolla- Guido Zucconi, Arte del novecento 1945-2001 (a cura di Rita Scrimieri), Milano, Mondadori Università, 2002 (ediz. 2019)
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