sabato 30 maggio 2009

Cinquanta non bastano

photo by Jacqueline Spaccini

Cinquanta non bastano

Non ho imparato la lezione
che la vita propone in allegato.
Trascrivo qui in ritardo il decalogo
a futura memoria per chi verrà.

Spaiare nella gerla paglia e pula
dalle spighe di grano fragrante,
cernendo l'oro dall'ottone, il vino
dalla feccia e il torsolo dalla scorza.

Riconoscere la stretta del falso
amico per la sua eccessiva forza,
gli osanna a oltranza e il consenso iperbolico.

Contrastare le rovinose ondate
del desiderio prima che la furia
condannasse la barca al naufragio
contro le scogliere del disincanto.

Resistere alla vanità più forte
malgrado le sue lusinghe appaganti,
quando ti sembra stringere la sorte
in pugno col plauso della folla.

Spogliare la rosa dai fatui petali
cui il profumo si scambia per promessa
come se davvero esistesse in sé
e non fosse creatura poetica.

Attendere al termine della notte
più oscura la chiarità dell'alba
con i colori di speranza in cielo.

Arare tra le pietre fino al gusto
della zolla che si frange dolce e tenera
se lo fu per una buona causa.

Cogliere nello sguardo il fondo vero
che celano gli umani nei vestiboli
della coscienza, ma sotto la maschera.

Evitare la lama delle trappole
senza sporcarsi con il sangue ingenuo
e stolto di chi ignora le regole
per cui dall'onta deriva il successo.

Tacere la voce delle sirene,
quel lieto inganno che diceva il volo
della farfalla durasse di più
di un'unica giornata di solleone.

Cinquant'anni non mi sono bastati
a svelare il segreto della vita,
né ad apprendere il severo codice
per fare di me un uomo giusto e saggio.

Forse neanche un altro mezzo secolo
basterebbe a superare l'esame
arduo nel corso di sopravvivenza
del resto, è soltanto un rischio teorico:

per quel che avanza lo scialo è finito.

Alessandro Iovinelli

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Pubblicato ne: Il banco di lettura, Trieste, 36/2008, pp. 87-88


martedì 12 maggio 2009

Romanzo epistolare e patriottismo: Ugo Foscolo

IT12B2 CIVI
Cieca è la mente e guasto il core, ed arte. L'umana strage, arte è in me fatta, e vanto [1]

Le Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo: analisi dell'incipit del romanzo

Niccolò Ugo Foscolo (1778-1827)

Il testo da analizzare è qui (per chi ha il testo: le lettere dell'11 e del 13 ottobre 1797)

Analisi dall'esterno verso l'interno:

Genere:

Romanzo epistolare, genere che conobbe la sua piena fortuna nel Settecento.
Il fatto che Le Ultime lettere di Jacopo Ortis (edizione del 1802) [2] siano costruite in maniera tale da apparire come frutto di una corrispondenza, richiede in genere una pluralità di emittenti e di destinatari o perlomeno che vi siano due protagonisti del romanzo. In realtà, già Johann Wolfgang Goethe nel I dolori del giovane Werther (1774) aveva introdotto il monologo epistolare (con l'aggiunta delle considerazioni dell'editore, escamotage cui gli autori ricorreranno fino alla prima metà del XX secolo).

Anche nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis(1796-1798), il lettore ha a disposizione le sole missive di Jacopo (dalle quali intuiamo alcuni contenuti delle epistole del suo interlocutore, Lorenzo), ad eccezione della nota Al Lettore in cui Lorenzo Alderani si presenta come "editore" del "giovane infelice".

In questa nota si legge:
Pubblicando queste lettere, io tento di erigere un monumento alla virtù sconosciuta; e di consacrare alla memoria del solo amico mio quelle lagrime (sic), che ora mi si vieta di spargere su la sua sepoltura. E tu, o Lettore, se uno non sei di coloro che esigono dagli altri quell'eroismo di cui non sono eglino (sic) stessi capaci, darai, spero, la tua compassione al giovine infelice dal quale potrai forse trarre esempio e conforto.
A questo punto, se avete fin qui tralasciato di chiedervi chi sia Jacopo Ortis, occorrerà che andiate a documentarvi. Se poi vi leggerete in simultanea il romanzo di Goethe, sarà anche meglio, per una visione almeno in parte comparativa.

E torniamo al romanzo epistolare e al suo successo.
Quali opere vi vengono alla mente? Distinguiamo per nazione:

Inghilterra: Pamela o la virtù premiata (Pamela, or Virtue Rewarded, 1740) di Richardson;
Francia: La nuova Eloisa [3] (La nouvelle Héloïse, 1761) di Rousseau e naturalmente Le Relazioni pericolose (Les Liaisons dangereuses, 1782) di Choderlos de Laclos;
Germania: I dolori del giovane Werther (Die Leiden des Jungen Werther, 1774) di Goethe;
Irlanda: Dracula (Id., 1897) di Stormer

Perché ebbe tanto successo il romanzo epistolare?

Ci si scrivono tesi di dottorato su un tale argomento. E poi esulerebbe da questa lezione.
Dirò brevemente che in un'epoca in cui l'individualità (non l'individualismo, attenzione!) comincia a richiedere un posto per sé anche in letteratura - insieme con una ossimorica richiesta di intimità esibita, da parte dei lettori -, il romanzo epistolare risponde a entrambe queste esigenze.

Ma sull'individuo e sull'egotismo ante Stendhal, tornerò più avanti, se ho tempo.

Torniamo a Jacopo, alle sue lettere, al contenuto, insomma.

La prima lettera è datata 11 ottobre 1797 e redatta nella zona dei Colli Euganei.
Ricordate che le categorie spaziotemporali sono fondamentali per analizzare un testo, dunque ora è tempo di contestualizzarlo storicamente e geograficamente.
Tempo: 1797
Foscolo data la lettera di Jacopo con qualche giorno di anticipo sul trattato tristemente celebre, vale a dire il Trattato di Campoformio (17.10.1797: Napoleone cede Venezia all'Austria).
Luogo: Veneto
Jacopo si trova a Teolo, sui Colli Euganei, una zona collinare nei pressi di Padova: giovane patriota, tradito e iscritto nella lista dei proscritti, ha abbandonato Venezia (cosa della quale apparentemente si vergogna) per compassione alle lacrime della madre.

Tu mi fai raccapricciare, Lorenzo; quanti sono dunque gli sventurati? E noi, purtroppo, noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue degl'italiani. Per me segua che può.

A Lorenzo risponde che aspetta la morte e la prigione, ché non ha più fede in questa Patria non ancora nata e già venduta da bocche apparentemente fraterne (a distanza di 200 e passa anni, le cose non sembrano essere cambiate, n.d.r.).

Non basta. Gli storici del Risorgimento usano ormai far iniziare da questa data quel periodo che fu la Rivoluzione più rivoluzionaria della terra italica, ma anche la più stravagante (s'è mai visto un combattente in marcia che dopo aver conquistato mezz'Italia si ferma a pochi km dalla vittoria totale?). E ancora leggiamo parole amare (ma quante volte vere nella lunga storia dello Stivale), quando Japoco metaforizza così il suolo patrio: terra prostituita premio sempre della vittoria.

E nel furore dell'ira dispiegata, Jacopo attacca finanche la Chiesa o meglio i suoi Papi che usarono a fini personali le Crociate, e si sente come quei morti sepolti vivi, che si risvegliano, nel sepolcro fra le tenebre e gli scheletri, certi di vivere, ma disperati del dolce lume della vita, e costretti a morire fra le bestemmie e la fame.

Chiude la lettera della seconda giornata (13 ottobre) con un'allusione obliqua a Bonaparte, di cui era stato un osannatore (cfr. A Napoleone liberatore) :. E perché farci vedere e sentire la libertà, e poi ritorcerla per sempre?

Andiamo ad analizzare lo stile, ora.
Nelle lettere di Jacopo paratassi e ipotassi hanno lo stesso spazio, c’è posto anche per il parlato familiare fiorentino; si passa dal registro sublime a quello comico.
In quello di Alderani, invece, prevale l’ipotassi.
Riguardiamo la differenza tra ipotassi e paratassi.
Siano date due propozioni. Una principale e una coordinata, per esempio, in cui la seconda dipenda dalla prima.
chiudere il libro ---- spengere luce
Paratassi Ho chiuso il libro e ho spento la luce
Ipotassi dopo aver chiuso il libro, ho spento/spensi la luce.
L’ipotassi (dal greco hypó, “sotto” e táxis, “disposizione”) ha lo scopo di mettere in evidenza, in modo più o meno esplicito, le relazioni logico-temporali che intercorrono tra le varie proposizioni. È questo il modo di periodare elaborato dalla prosa classica e più comune nella cosiddetta prosa d’arte : il risultato è un taglio stilistico elaborato, lontano dal livello colloquiale.
Al contrario, la paratassi (il greco pará significa “vicino”) è la strutturazione sintattica per cui in un periodo le proposizioni vengono coordinate, risultando in tal modo equivalenti tra loro e non interdipendenti (“chiusi il libro e spensi la luce”). È tipica del linguaggio semplice e popolare, e crea l’effetto stilistico di velocità e immediatezza comunicativa.
Questo ha lo scopo di focalizzare l’attenzione sul protagonista assoluto, Jacopo, di farlo sentire meno distaccato e quindi più vicino, c’è un tono di “vissuto”, di immediatamente raccontato, di totale coinvolgimento in quel che si narra. La premessa di Alderani serve per ristabilire una distanza “oggettiva”, la precisione di una cronaca distaccata, come hanno scritto vari critici.

La delusione che spesso comporterà la realtà politica darà agli artisti del XIX secolo una visione negativa del mondo esterno. Il fallimento che ne deriva investe la persona che si ripiega su se stessa in una sorta di egotismo, di inquietudine esistenziale. Ma c'è da chiedersi se l'egotismo ( si può parlare di egocentrismo prima di Freud?) non preceda tale ripiegamento, se talora non spieghi finanche gli slanci eroici di patriottismo o se questo ragionamento non sia di tipo anacronistico.
Quel che mi appare un'evidenza è che tutta questa individualità (basta leggere l'Alfieri) è il sostrato, il lastricato sul quale si muoverà la
quête du bonheur di Stendhal.

A volte si ritiene - e a torto - che la letteratura non abbia alcuna influenza sulla storia. Che sia un errore, lo prova ad esempio quel che racconta Mazzini al riguardo del romanzo di Ugo Foscolo.
Mazzini, studenti miei, non uno qualunque.


«Sui banchi dell’Università – v’era allora una Facoltà di Belle Lettere che precedeva di due anni i corsi legali e medici e ammetteva i più giovani – ero cupo, assorto, come invecchiato anzi tempo. Mi diedi fanciullescamente a vestir sempre di nero: pareva di portar il lutto della mia patria. L’Ortis che mi capitò allora fra le mani, mi infanatichì: lo imparai a memoria. La cosa andò tanto oltre che la mia povera madre temeva di un suicidio»[4].
Patriottismo, inquietudine, amori clandestini, malinconia, malattie, egotismo: tutto concorre a fare di Ugo Foscolo un preromantico.
Quanto all'automitologia dell'Io, perché sia efficace la vita artistica e quella reale debbono essere strettamente correlate. Foscolo, in tal senso è esemplare. Il sonetto che vi metto di seguito Avverso al mondo (1800-1801), fa il verso all'Alfieri di Sublime specchio di veraci detti (1786). Confrontatelo, questo autoritratto poetico (e compiaciuto) con il ritratto dipinto da François-Xavier Fabre.


Solcata ho fronte, occhi incavati intenti,
Crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto,
Labbro tumido acceso, e tersi denti,
Capo chino, bel collo, e largo petto;
Giuste membra; vestir semplice eletto;
Ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti;
Sobrio, umano, leal, prodigo, schietto;
Avverso al mondo, avversi a me gli eventi:
Talor di lingua, e spesso di man prode;
Mesto i più giorni e solo, ognor pensoso,
Pronto, iracondo, inquieto, tenace:
Di vizj ricco e di virtù, do lode
Alla ragion, ma corro ove al cor piace:
Morte sol, mi darà fama e riposo.
.
_____
[1] da:
I Sonetti
[2] Per un approfondimento delle edizioni del romanzo et alia, cfr. Massimo Carlini,
Il problema dell'originalità nell'Ortis foscoliano. Torino, Seneca
edizioni, 2007.

[3] Nuova Eloisa? E chi è l'Eloisa primigenia? Andate, cercate, trovate.

[4] Giuseppe Mazzini, Note autobiografiche, 1861-1866.