mercoledì 14 luglio 2010

Leggendo «On n'y voit rien» di Daniel Arasse




Dedicato a mio figlio Romain
che questo libro lo deve studiare
  


Gli occhiali inebriati di Daniel Arasse

Vous y voyez beaucoup trop
 
 Portava gli occhiali, Arasse? Penso di no, oppure come me, sì, di quelli da lettura per veder bene le immagini, magari aggiungendo una loupe, una lente di ingrandimento, come faccio io quando voglio vedere per bene un certo dettaglio che mi era completamente sfuggito fino a un attimo prima. E infatti, eccola, l'ho trovata una piccola foto che lo ritrae con quei tipici occhiali da presbite.

Vorrei parlare di un suo libro che pochissimi avranno letto in Italia. L'originale s'intitola On n'y voit rien (non si vede nulla) ed è stato pubblicato nel 2000.


Daniel ora non può replicare a nessuno, è morto nel 2003, a soli 59 anni, a causa della SLA [1].

Era uno storico dell'arte irriverente, ostinato, simpatico, entusiasta, curioso, colto e appassionato, a tratti delirante, o come amava autodefinirsi (accusando gli altri di definirlo così, ma in realtà gongolandoci dentro): sur-interprétant, qualcuno che non si limita a interpretare un quadro, bensì travalica, va oltre: sovrainterpreta. Come chi nello sport si allena troppo e va in sovrallenamento. In genere, in questi casi, l'atleta che ha esagerato si rompe qualche legamento o un osso. Chissà...

Questa premessa per onestà nei confronti di chi legge. A Daniel Arasse do il grande merito di appassionare chi legge quel che scrive. Se chi legge è appassionato di suo.

(prima copertina: davvero non si vede niente!)


E entriamo finalmente nel libro, che ha come sottotitolo l'eloquente Descriptions.

  *  *  *

Due sono le bugie che accompagnano questo saggio: la prima è che è un libro di poche pagine e quindi velocemente archiviabile; la seconda è che è scritto in uno stile talmente semplice da sembrare quasi superficiale. 


Questo invece è un libro breve e densissimo. E lo stile è volutamente accattivante, proprio perché tale era la personalità dell'uomo Arasse, ma anche perché i contenuti che ci offre sono come quei vinelli che trangugiamo pensando che non potranno farci nulla di male e che all'indomani ci lasciano la testa pesante, pensante e dolorante. 
(seconda copertina: qui si vede qualcosa, ma poco)



Lui ha diviso il libro in 6 parti, ognuna di esse corrisponde a un quadro; ognuna di esse presenta un soggetto diverso (je/io, tu/tu, il/lui, on/si, nous/noi); sta da solo, parla con qualcuno, parla con se stesso, qualcuno gli parla...

Elenco dei quadri e degli autori (laddove ve ne sono) per capitolo (ognuno con un titolo allusivo):
  1. Cara Giulia (Marte e Venere sorpresi da Vulcano del Tintoretto)
  2. Lo sguardo della lumaca (L'Annunciazione di Cossa
  3. Un occhio nero (L'adorazione dei magi di Bruegel)
  4. Il vello di Maddalena
  5. La donna nel baule (La Venere di Urbino di Tiziano)
  6. L'occhio del maestro (Las Meninas di Velazquez).




Non mi interessa fare il riassunto dei capitoli, per quello, comprate il libro, esiste in versione italiana [lo raccomando a priori, ignoro se abbia una buona traduzione oppure no, comunque a cura di (cito come sta scritto) Dell'Ariccia A. (sic)]. Ecco, vi metto la copertina del libro pubblicato da Editore Artemide. 

Quel che mi interessa è nemmeno di spiegare, bensì di attirarvi alla pittura, al suo godimento, attraverso lo sguardo e il sentire di Daniel Arasse a proposito di certi dettagli che sfuggono ai più. 


[E che si tratti di vista, lo provano i reiterati lemmi appartenenti allo stesso campo semantico (sguardo e occhio ripetuto ben due volte)].


Daniel Arasse non amava annoiare gli altri. Probabilmente per non annoiarsi lui per primo. Sicché struttura i suoi capitoli in modo diverso.

Il primo è scritto sotto forma di lettera indirizzata a una sedicente collega romana, denominata sotto il nome di Giulia (una lettera affettuosa in apparenza; in realtà, lui le dà della « cieca », peggior insulto per chi fa della vista lo strumento numero uno del proprio mestiere, non ne vedo). 

Nel secondo capitolo, si rivolge direttamente al pubblico - o perlomeno a coloro, tra i suoi lettori che gli muovono rimproveri. Tira in ballo anche un amico, eminente studioso di semiologia e medievalista, tale Umberto (vi ricorda nessuno?).Per farlo convenire con lui su un argomento che poi lui stesso svelerà essere una solenne cantonata. 


La prestigiosissima École française de Rome  
di cui Arasse è stato membro (1971-19743) 
occupa il secondo piano di Palazzo Farnese a Roma

Nel terzo capitolo parla di sé in terza persona; nel quarto reintroduce un prepotente e aggressivo*io* contro un dispettosissimo *voi* (che non prende mai la parola, sia esso singolare o plurale).


E se nel quinto capitolo inscena una lite continua con uno studioso d'arte palesemente italiano, ma di cui non viene mai fatto il nome (Federico Zeri, forse?), nell'ultimo si dà bellamente del *tu*. 


L'Istituto francese di Firenze 
che Arasse ha diretto dal 1982 al 1989


Di che sfiorare la schizofrenia artistica. Ma sono escamotage stilistici, come dicevo, per ravvivare la fiamma del suo dire.


Il suo dire. Personalmente, dal basso delle mie conoscenze storico-artistiche non sono sempre (per dirla tutta: quasi mai) d'accordo con le conclusioni di Arasse (alcune delle quali vado a esporre), ma mi piace il ragionamento, la logica sia pure deragliante, la passione, l'invito - anzi lo strattone - che dà al lettore per ficcargli sotto al naso il dettaglio che NESSUNO DI NOI AVEVA VISTO (oppure non in quel modo).


Prendiamo il primo quadro (Marte e Venere sorpresi da Vulcano): Arasse conviene con la sua destinataria (e collega) Giulia, che del quadro del Tintoretto s'ignorano finanche le origini e le condizioni della committenza. 
Eppure, si lancia in una serie di argomentazioni che lo portano a concludere che tale dipinto sarebbe stato posto dal suo proprietario (a tutt'oggi anonimo, 1550 ca., si trova ora a Monaco di Baviera), forse - dice lui -  la cortigiana di un giovane Gonzaga, in un salone, sotto gli occhi di tutti, per condividere con gli ospiti la vena ironica - anzi, la vis comica - del suo soggetto. E il quadro è rimasto pressoché sconosciuto fino al 1682... Si guardi il dipinto in questione. Dov'è che fa ridere? Secondo Arasse, Marte è  - tra l'altro - ridicolmente nascosto sotto il tavolo (come un amante moderno in un armadio), ma il gioco passerebbe, visto che un Vulcano verdognolo è tutto preso a scoprire la fessura della coniuge...
 
E così via. Ventisette pagine in cui il lettore si compiace di seguirlo e compie un continuo andirivieni tra le sue parole e le immagini che il quadro del Tintoretto propone (e noi ridiamo insieme con lui ma anche con Amorino, Cupido, Eros  che se ne sta adagiato in una culla sotto alla finestra).


E perché è così importante la capigliatura lunghissima della Maddalena? In realtà, Daniel principia con il suo vello e non con la sua criniera e muove argomentazioni un tantinello faziose tra pilus et capillus


Però è interessante il suo confronto laddove dice che la virilità della donna passa per la lunghezza dei capelli. 

In realtà la parola giusta sarebbe un'altra... se questa parola esistesse. Infatti, esiste maschio e femmina, maschile e femminile, uomo e donna. Ma che cosa fa da contraltare alla parola virilità? Muliebre vuol dire altro. Al massimo, è stato coniato virago (da vir, uomo) ma con senso nettamente dispregiativo.
Vabbè, andiamo oltre. 

Che i capelli rappresentino in qualche modo lo statuto della forza (non nel senso dei muscoli, ovviamente, per quello si vedano Dalila & Sansone), non è campato in aria. 
Ricordate che cosa facevano alle donne che andavano a letto col nemico, alla fine della guerra? Alle  collaborazioniste, si rasava il cranio. Si toglieva loro tutti i capelli. Le si spogliava della loro dignità (altro che la nudità!).

Due comunque sono le caratteristiche della Maddalena: una, l'abbiamo vista, l'altra è che piange. 

Piange sempre. Chi ricorda la cantilena: Vengo da Gerusalemme, senza ride' e senza piagne, giochino infantile che consisteva nel ripetere sempre queste parole senza ridere mai? Ecco la Maddalena batterebbe tutti. Lei non ride mai, lei piange sempre. Non a caso, le poche fontanelle parigine che distribuiscono acqua gratuitamente, le fontane quelle verdi, le Wallace (dal nome del suo inventore) e che sembrano piangere come delle Maddalene,  hanno dato lo spunto a Jean-Pierre Jeunet, il  regista di Amélie Poulain, di chiamare il personaggio della portiera, eternamente in lacrime, Madeleine Wallace. 


Tornando ad Arasse, lo storico inferisce che la Maddalena - quale ella è nell'immaginario sociale e collettivo - non esiste. Si tratterebbe di una figura composita attorno alla quale avrebbero poi edificato una leggenda con anche una chiacchiera, quella  del suo reale rapporto col Cristo. 
Leggenda che ha ben attecchito, d'altra parte, commedie musicali, romanzi danbrowniani... e così via.



È un dogma, un mistero. È la riparazione che la Chiesa prevede per le donne, a parziale risarcimento dell'immagine di Eva. Anche se resta una figura ancillare (ma perché se accorga, per questo, bisognerà attendere ancora secoli).

Tenetevi pronti, vi sforno un altro quadro, ma solo per un flash. Che cosa? (eh sì, sono stata contagiata dalla tecnica di Arasse)... State dicendo «uffa, un altro quadro che è arcinoto, l'ennesima variazione dell'Adorazione dei Magi (1564, la trovi a Londra), stavolta nella salsa di quel matto di Bruegel... Il Vecchio o il Giovane, boh, chi li sa distinguere». 

Sì, sì. Intanto è Pieter Bruegel il Vecchio. Ma voi lo sguardo di Gaspare, il suo occhio nero, l'avevate notato? Io no. Anzi, nemmeno l'avevo notato, Gaspare. Ho dovuto prendere una lente e poi rimettermi a leggere quel che scrive in proposito Daniel Arasse: l'unico Nero tra Bianchi, l'unico che (Madonna e Bambino a parte) non viene ridicolizzato. 

Il brivido me l'ha dato però una chiocciola, quella che Francesco Cossa inserisce nella sua Annunciazione tedesca (1470, si trova a Dresda). Che ci sta a fare una minuscola chiocciola sul bordo di un quadro? E neanche ci sta tutta! Ecché, gli mancava lo spazio?

Ebbene, lo storico dell'arte si muove tutte riserve (si fa le domande e si dà le risposte): «Ma si sa che cosa significa un escargot, una chiocciola, posta in limine del quadro! ... che vai cercando? La chiocciola è il simbolo della fecondità e sta a indicare il momento in cui avviene l'immacolata concezione, lo sanno tutti!

Pensate si sia lasciato intimorire dalla risposta? Macché. 
A colpi di argomentazione, Arasse spiega che essa, la chiocciola, ci invita a entrare in un altro universo, lasciando il nostro mondo, ma soprattutto ci ammonisce che «non dobbiamo lasciarci catturare dall'illusione di quel che vediamo, non dobbiamo crederci», insomma.

Finiamo in bellezza con la Venere di Urbino e Las Meninas. Non mi soffermo, il mio post è già lunghissimo così. 


Posso dire che delle suggestive ipotesi dello storico al riguardo del letto che non è un letto e del drappo che non è un drappo della Venere di Tiziano me ne straciccio insieme con il delirio del cassettone (che belle pagine, però) e che trovo comunque interessante la sua lettura diversa ma non iconoclasta delle meninas secondo Foucault (che volete, siamo sempre più postmoderni!). 

Consiglio l'acquisto del libro, ne sollecito la lettura che ha il grande pregio di essere gradevole e, quel che più conta, stimolante. E si sa che stimolare il cervello mantiene giovani (agili, perlomeno).

P.S. Saluto il nobiluomo sullo sfondo dell'ultimo quadro (e con esso rimembro immediatamente un celebre racconto di Tabucchi).
          Saint-Cloud, le 14 juillet 2010


 All rights reserved
Jacqueline Spaccini©2010



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[1] SLA: la sclerosi laterale amiotrofica [quella di Stephen Hawking, Luca Coscioni, del bassista Mike Porcaro, di David Niven e di molti calciatori, come Stefano Borgonovo (attualmente, sono 35 i casi di morti per SLA tra i calciatori italiani)].


giovedì 8 luglio 2010

Le poesie, la parola. Capolavoro di parole e di poesia di Roberto Benigni



Su su.. svelti eh, veloci, piano, con calma…
Non v’affrettate, poi non scrivete subito poesie d’amore, eh, che sono le più difficili, aspettate di avere almeno un’ottantina d’anni.
Scrivetele su un altro argomento… che ne so… sul mare, il vento, un termosifone, un tram in ritardo… ecco, che non esiste una cosa più poetica di un’altra!
Avete capito?
La poesia non è fuori, è dentro… Cos’è la poesia, non chiedermelo più, guardati nello specchio, la poesia sei tu…... E vestitele bene le poesie, cercate bene le parole… dovete sceglierle!
A volte ci vogliono otto mesi per trovare una parola!
Sceglietele…che la bellezza è cominciata quando qualcuno ha cominciato a scegliere.
Da Adamo ed Eva… lo sapete Eva quanto c’ha messo prima di scegliere la foglia di fico giusta!!!
"Come mi sta questa, come mi sta questa, come mi sta questa.." ha spogliato tutti i fichi del paradiso terrestre!
Innamoratevi, se non vi innamorate è tutto morto… morto! Tutto, eh!
Vi dovete innamorare e diventa tutto vivo, si muove tutto… dilapidate la gioia, sperperate l’allegria e siate tristi e taciturni con l'esuberanza!
Fate soffiare in faccia alla gente la FELICITÀ! E come si fa? …fammi vedere gli appunti che mi son scordato… questo è quello che dovete fare…non son riuscito a leggerli! Ora mi son dimenticato!
Per trasmettere la felicità, bisogna essere FELICI e per trasmettere il dolore, bisogna essere FELICI.
Siate FELICI!!!
Dovete patire, stare male, soffrire.. non abbiate paura di soffrire, tutto il mondo soffre! Eh?
E se non avete i mezzi, non vi preoccupate… tanto per fare poesia una sola cosa è necessaria… tutto!
Avete capito?
E non cercate la novità… la novità è la cosa più vecchia che ci sia…
E se il verso non vi viene da questa posizione, da questa, da così, beh buttatevi in terra! Mettetevi così!
Eccolo là… ohooo… è da distesi che si vede il cielo…
Guarda che bellezza…perché non mi ci sono messo prima… Cosa guardate?
I poeti non guardano, vedono.
Fatevi obbedire dalle parole… Se la parola ‘muro’, muro, non vi dà retta, non usatela più…per otto anni, così impara! Che è questo? Boh, non lo so!
Questa è la bellezza, come quei versi là che voglio che rimangano scritti lì per sempre…
Forza, cancellate tutto ... e dobbiamo cominciare!
La lezione è finita.
Ciao ragazzi ci vediamo mercoledì o giovedì…
Ciao arrivederci.