I LUOGHI DELL’ANIMA.
Lela Pupillo e Pino Di Silvestro
(vernissage 2000)
di Jacqueline Spaccini
In collaborazione con la Provincia Regionale e l’A.T.P. di Siracusa, nelle sale dell’Istituto Italiano di Cultura di Parigi e alla presenza del direttore prof. Pietro Corsi, ha avuto luogo lo scorso 6 giugno il vernissage di alcune opere di Lela Pupillo e Pino Di Silvestro, sotto il titolo “La lumière, les formes” (6-26 giugno). Entrambi siciliani di Siracusa, i due artisti hanno modi diversi d’approcciarsi alla materia, anche se il sostrato comune resta la loro terra: gli acrilici di Pupillo racchiudono il ritmo tranquillo di Siracusa e le acqueforti di Di Silvestro rimandano all’opera letteraria di Sciascia. Le cui epigrafi, come ha osservato Vincenzo Consolo, l’artista siracusano “antologizza, legge, interpreta, illustra”. Epigrafi di epigrafi dunque, immagini poste al di fuori del testo, ma ad introduzione di esso, le “entelechie” di Pino Di Silvestro si annunciano come confine: da un lato, filosoficamente, esse realizzano l’attuazione di una potenzialità; dall’altra, biologicamente, si incaricano di dirigere lo sviluppo di un organismo. E’, la sua, un’arte del riassumere, e anzi, del ritrascrivere l’universo sciasciano, condensatosi nelle acquaforti; una sorta di compendio, di sintesi, dall’inizio alla fine del racconto letterario. Come in Il cavaliere e la morte (1988), per esempio, in cui la fatale e scheletrica Signora del romanzo di Sciascia ci sorride grottescamente dal fondo basso del pannello, col suo berretto da folle; cortigiana anch’essa del macabro festino che segue al disincanto della vita. La lezione di Pollock (e di Vedova) è il punto di partenza per Lela Pupillo: dopo la distruzione della forma, la nuova pittura deve ripartire daccapo; è una specie di degré zéro. Per la Pupillo si potrebbe parafrasare Cartesio e dire con lei: “Dipingo quindi sono”, ma senza che la pittura prenda il sopravvento sulla vita quotidiana. Con l’arte, lei ha contratto una sorta di mutuo patto di lealtà e d’indipendenza, tant’è che anche i titoli delle sue opere sono fittizi, affinché esse possano restare aperte alla libera interpretazione dello spettatore posto dinanzi a loro. L’arte non è chiusa ed anzi, i suoi significati sfuggono, strada facendo, persino alla mano libera dell’artista, che continua la ricerca di sé talvolta nell’oscurità più totale. La pittura è informale, lo spazio concesso al colore è ancora clandestino: i pochi elementi cromatici sono forti e primari, come il giallo e il rosso, ad illuminare l’idea per nulla palese, talora a motivare l’emotività dell’artista nel suo difficile travaglio. Che di fronte all’opera non sa ancora e scommette sulla “zona interiore” e lotta per non perdersi. Sicché, Siracusa diventa una sorta di spazio perimetrale che regola il ritmo lento e pacifico dell’arte di Lela Pupillo. Senza Siracusa, la famiglia e la fede in Dio, probabilmente la sua attività non esisterebbe. E allora quelle sue aste verticali, che si drizzano sullo sfondo buio, simboleggiano l’umano che si alza in piedi, che afferma la sua esistenza. Perché il confronto è dentro di noi. Come a dire che lo spazio non è qualcosa di geografico, che tra Parigi e Siracusa non ci sono grosse differenze, giacché il luogo in cui esprimere l’arte è in realtà – solo e sempre – un luogo dell’anima. Bisognerebbe dirlo ai giovani i quali, per trovare l’opportunità di esprimersi, sognano di andare lontano. Ma lontano da dove?
Jacqueline Spaccini
giugno 2000
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Da allora, Pino Di Silvestro è diventato scrittore.
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