lunedì 1 giugno 2009

Quel giorno che incontrai Vesna Parun

Quel giorno che incontrai Vesna Parun


Ho avuto la fortuna di conoscere Vesna Parun nel 1996, a Zagabria, dopo due anni di vani e reiterati tentativi. Nel suo appartamento di Dubrava, uno dei quartieri periferici della città, non c'era telefono. E se c'era, lei non rispondeva.

moj Zagreb

Un giorno presi coraggio: bussai a lungo alla sua porta e suonai al suo campanello. Niente.

Non so se Vesna fosse assente o se fingesse di esserlo. Fatto sta che nessuno rispose. Allora me ne andai, non senza aver prima incastrato una lettera scritta da me nello stipite verde della sua porta.

Mi telefonò qualche giorno dopo, guardinga, un po' sospettosa, per fissare un appuntamento. Il luogo prescelto doveva essere una no man's land, la sala di lettura della médiathèque dell'Institut Culturel Français, all'angolo della Preradoviceva.

Preradoviceva.
La médiathèque è all'angolo di sinistra, in fondo
La foto è di Mihael Mafy (album web)


Portai un'orchidea bianca, sperando che un fiore, offerto da una donna a un'altra donna, potesse rassicurarla sulle mie intenzioni. Non vidi la bellissima donna raffigurata nelle pagine di una delle sue raccolte poetiche più belle, Ukleti dažd.

Mi si fece incontro un'anziana signora al contrario, alta e appesantita, con una sciarpa a proteggere dalla vista altrui una malattia che le deformava il collo. Ma la passione che ha contraddistinto la vita di donna e di poeta di Vesna Parun (classe 1922) ne illuminava ancora gli occhi. Il suo incipit mi parve senza appello: Le concederò al massimo mezz'ora e non rilascerò nessuna intervista.

Quel ristorantino sulla Teslina

Ma, per davvero, io non volevo un'intervista da lei. Volevo "succhiarle" di dosso qualcosa per poter meglio tradurre una manciata di sue poesie.
E l'orchidea deve poi aver compiuto un piccolo miracolo.

Restammo a parlare per cinque ore di seguito, prima in biblioteca poi nel chiuso di un ristorantino lì vicino, mentre lei assaggiava un piatto di verdura fritta e io stavo ad ascoltarla con solo una birra davanti.

Quando la riaccompagnai a casa, un tizio a bordo di una vettura sportiva si divertì a rasentare sprezzantemente la mia auto che sostava nel piazzale di Vite Velebita.

Ho continuato a scrivere a Vesna, senza poterla rivedere. Chissà forse un giorno ritroveranno le mie lettere in uno dei suoi famosi sacchi di plastica neri, quelli che lei dice di conservare perché anche i topi che infestano la sua casa debbono pur campare.


L'intervista non l'ho mai fatta. Il libro con traduzioni mie delle poesie sue, l'ho pubblicato.
Mi fu detto che ne era contenta.

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Vesna Parun. Né sogno né cigno. [Ni san ni labud]. Caserta, Editrice Spring, 1999. Prefazione di Predrag Matvejevic. Traduzione dal serbocroato e nota critica di Jacqueline Spaccini.
Sue poesie tradotte da me sono consultabili qui e qui. Ma anche qui.


2 commenti:

Paolo Pantaleo ha detto...

Ecco, una di quelle cose che poi restano nei ricordi di una vita. Proprio bello.

Jacqueline Spaccini (Artemide Diana) ha detto...

Hvala puno, Bart.