martedì 23 giugno 2009

Predrag Matvejevic, viaggiatore disperso?



Predrag Matvejevic. Tra asilo e esilio. Romanzo epistolare. Roma, Meltemi editore, 1998, 250 pp. Traduzione dal croato e dal russo di L. Costantini ed Egi Volterrani.
ISBN 88-11-86479-41-7


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N
on ci si lasci ingannare dall'aspetto severo del libro, un saggio politico e sociologico che riflette in itinere le esperienze di viaggio dello scrittore nella ex-Unione Sovietica.
Non ci si lasci fuorviare dal numero di lettere e di evocazioni letterarie che quest'opera racchiude.

Certo, Tra asilo e esilio è anche questo.

Ma Predrag Matvejevic, metà russo metà croato, questo viaggiatore disperso, ha scritto un romanzo. Come una freccia che fa vibrare la corda del suo arco, esso trasporta anche noi nelle terre evocate da Lev Tolstoj e Fedor Dostojevskij, offrendoci lo struggente abbandono di luoghi, traditi dai governi, i partiti, le ideologie.

Come dimenticare infatti i passaggi che rievocano l'unica stanza, ambiente sporco e disadorno di Odessa, dinazi al cui mare Matvejevic, per non cadere vittima della disperazione, riesce infine a trovarle un argomento contro; quel mare raccontatogli dal padre esule Vsevolod Nikolajevic, il mare, l'unica cosa a essere rimasta immutata nel tempo?

gulag siberiano

Un romanzo epistolare post litteram, rivisitato, lontanissimo dal Settecento francese: qui, protagonisti sono i luoghi, gli alberghi, le lande sorvolate a bordo di un disagevole Yak 40, l'umanità varia - dagli zelanti di partito ai perdenti, quelli che non sono mai saliti sul carro dei vincitori -.

Ci sono poi gli amici e gli imbroglioni, quelli (come Piotr) che gli chiedono di scrivere qualche riga sul pane e quegli altri (come un fotografo giorgiano) che srotolano mazzette di rubli per ottenere da lui una camicia e un pullover di pura lana.

Ci sono poi le sue lettere aperte, scritte ai rappresentanti dei governi totalitari per chiedere di rispettare la libertà di opinione, la vita stessa di poeti e intellettuali del calibro di Josep Brodskij, di Solzenycyn (cui non risparmia le critiche per il suo acceso nazionalismo), di Vaclav Havel.

Aleksandr Solzenycyn

Pervade il libro la presenza (e la stima) di quel Karlo Stajner, che dopo vent'anni di gulag, scriverà 7000 giorni in Siberia (Napoli, ed. Tullio Pironti, 1985), ove la memoria ha questo di sovrumano: Ricorda quel che ognuno di noi si sforzerebbe di dimenticare. Forte l'amicizia di Danilo Kiš (un altro autore che non conoscete? Leggete i suoi libri), ingiustamente attaccato dalla società degli scrittori di Belgrado, che Matvejevic strenuamente difenderà affinché non venga allontanato dalla vita culturale per vent'anni e più. La morte civile.
Lettere, lezioni di stile.

Danilo Kiš

E ancora, e infine: Matvejevic riflette sul concetto di "russità" e sul peso dell'ortodossia religiosa. Ci racconta la Russia bianca e la Russia rossa, l'Oriente e l'Occidente, i tamizdat, i samizdat e i neizdat; e nelle librerie, lo sgradevole odore di colla; le domande inquisitorie, il traumatismo armeno, le mille e una identità di questi popoli e l'oblomovismo...

Aleksandr Sergeevič Puškin

Diceva Puškin: Dio mio, com'è triste quella nostra Russia!
Aggiungo io: E com'è affascinante. [Jacqueline Spaccini]

Pubblicato da Avvenimenti l'8.04.1998



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