mercoledì 16 gennaio 2019

La fortuna (e sfortuna) critica di Caravaggio secondo Roberto Longhi


La fortuna (e sfortuna) critica di Caravaggio secondo Roberto Longhi



Roberto Longhi (1890-1970), che è il più famoso critico di Caravaggio, nonché il suo ri-scopritore e maggior estimatore del XX secolo, si avvicina al pittore nel 1910,  ventenne, nell'ambito della biennale di Venezia. L'anno successivo, diverrà oggetto della sua tesi di laurea, con il prof. Toesca.
Nel libro cui faccio riferimento in fondo a questa pagina (nella sezione credits), il critico piemontese ragiona sulla fortuna - o più precisamente - sulla sfortuna di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, a causa della sua esistenza che scatenerà nei secoli un forsennato psicobiografismo (il termine è mio). Una sfortuna che equivale a un ridimensionamento artistico da imputare per lo più ai critici d'arte. Li enumera.


1. Giovanni Baglione, una sorta di Vasari di fine '600, e come il Vasari pittore anch'egli, querelò Caravaggio per versi offensivi e la cosa finì in tribunale (per approfondimenti, clicca qui)

2. Giovanni Pietro Bellori, lo dice pittore del naturalismo, lo accomuna al Cavalier d'Arpino (lui manierista), tutti e due comunque condannabili, a fronte di un  Annibale Carracci, che è esaltato.

Se poca fortuna (etica = estetica) raccoglie in Italia, in ragione della vita dissennata (lo psicobiografismo di cui sopra), diversamente, in Olanda [non dimentichiamo che Rubens farà acquistare ai Gonzaga la scandalosissima Morte della Vergine, rifiutata dai frati della Scala per cui l'opera era stata commissionata] e Spagna, è valutato Michelangelo Merisi. 


3. Vicente Carducho dirà che Velazquez è un secondo Caravaggio.

4. Joachim Sandrart, a fine '600, in Germania, è ben conscio della portata rivoluzionaria del pittore bergamasco.

5. Anche in Francia, a Parigi, sul finire del secolo, André Félibien (des Avaux) ebbe modo di apprezzarlo,  per quanto sotto l'influenza di Poussin (e si sa che Poussin detestava Caravaggio), perlomeno per quanto riguarda il colorito (ma dette zero alla composizione e al disegno).

6. Nel '700, poca fortuna incontra la pittura del Merisi; Pellegrino Antonio Orlandi nel suo Abcedario pittorico, dice di lui che il suo  è un «gran tignere di macchia furbesco».

7.  Francesco Algarotti gli renderà merito, ma anacronisticamente farà del Caravaggio il Rembrandt [lui scrive: Rembrante] italiano.


Osserva Longhi che tutto sommato, ex malo bonum: essere passato inosservato e caduto in disgrazia, lo ha tenuto al riparo dalle spoliazioni napoleoniche (all'epoca è la pittura bolognese a trionfare). Ma è indispettito dal fatto che neppure il grande Goethe non spenda parole sul Caravaggio durante il suo passaggio italiano. 

8. Nell'800, il negativo di turno è il gesuita Luigi Lenzi  il quale qualifica così i soggetti del Caravaggio: «Ubriacatezze, astrologie, compre di commestibili»...

Bisogna aspettare un passeggiatore solitario, straniero, che verso il 1830 parla con simpatia di Michelangelo Merisi, portando nella sua patria un ritratto romantico che avrà come effetto la creazione di un dramma, Caravage (1834), scritto da Charles Desnoyer et Abboise.

9. Questo viaggiatore che tanto ama l'Italia è Stendhal.

10. A metà '800, nell'Europa del Nord, Caravaggio è  sempre torbido, ma un torbido eroe nell'Handbuch der Geschichte der Malerei von Constantin dem Grossen bis auf die neuere Zeit , il manuale di Franz Theodor Kugler (1837). Scrive Longhi : «l'artista assume tratti che lo renderebbero quasi adatto a comparire nei Phares di Baudelaire [clicca qui per leggere il poema]; ciò non avverrà per altre ragioni; principalissima quella che al Delacroix subito sopravviene il Courbet» (p. 135).

11. Quel Courbet che ha qualcosa di Caravaggio nella sua pittura, naturalistica - scriverà Jakob Burckhardt - come quella del pittore seicentesco. Lo scrive nel 1855, analizzando un quadro del pittore borgognone di L'après-dîner à Ornans (1849). Come dargli torto? 



Ma ora Longhi ne ha abbastanza:  già all'inizio di questo excursus aveva dichiarato «darei al macero, senza troppo rimpianto, tutte le biografie principali dell'artista» (p. 131-132). 

Ascolterebbe volentieri le parole del Maestro Valentino, rivenditore di quadri a San Luigi dei Francesi, una sorta di Durand-Durel ante litteram, sempre secondo il critico piemontese. Ma anche i commenti del marchese Giustiniani con il quale Caravaggio dialogava.

E gli italiani? Nulla, «hanno già il Rinascimento alle spalle del Caravaggio» (p. 136). C'è già tanto di cui vantarsi. 

Ma nel 1951, a Milano, a Palazzo Reale, c'è la mostra sul Caravaggio e i Caravaggeschi. La cura Roberto Longhi. 

E Caravaggio diventerà definitivamente uno dei più grandi.

Risultati immagini per mostra milano caravaggio e i caravaggeschi 1951Jacqueline Spaccini
16/01/2019
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Credits: Roberto Longhi, Caravaggio (Roma, Editori Riuniti, 1982, pp. 131-136)