Correva l'anno 1997...
L'Est visto da dentro
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Mi meraviglierei se dopo questo libro, Slavenka Drakulić non avesse problemi alla frontiera croata.
In modo molto personale ma cerdo profondamente autentico, partendo dalle insegne dei Caffè o dagli atteggiamenti della sua gente ai posti di frontiera, l'autrice indica perché i cosiddetti ex-Paesi dell'Est anelano a un'Europa Unita cui non appartengono e non apparterranno fintantoché continueranno a sognare di far parte di una Europa che non esiste se non nel loro immaginario (per intenderci: un'Europa che accoglie tutto e non chiede niente in cambio).
Nell'esame di coscienza che coinvolge principalmente la storia di Zagabria ma che non trascura Sofia, Bucarest, Praga, Mosca e Budapest, dando conto dei contrasti esistenti tra l'Istria e il resto della Croazia - lei vi ravvisa possibili motivi di conflitto futuri (personalmente sono più preoccupata per la questione del Cossovo e le istanze autonomistiche del Montenegro) -, la Drakulić mette a nudo le parti più miserevoli della coscienza di un popolo.
E in ogni famiglia, si sa, è proibito lavare i panni sporchi in pubblico.
Nei Paesi cosiddetti evoluti, si dirà che è poco fine.
_______
pubblicato da Avvenimenti il 10.12.1997
Nota. Undici anni abbondanti dopo: la scrittrice continua a vivere in Svezia, è sempre più impegnata civilmente (clicca qui). Io qualcosa l'avevo azzeccata e qualcosa no (Cossovo sì, Montenegro no).
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Slavenka Drakulić. Caffè Europa. Milano, Il Saggiatore, 1997, pp. 185. Traduzione di Emanuela Brock.
Dopo la prova de Il gusto di un uomo, l'ultimo suo romanzo, Slavenka Drakulić torna a una prosa più ibrida, dove il saggio è anche esperienza intima e personale, non priva di attenzioni letterarie.
Torna soprattutto ai temi della ex-Jugoslavia, a spiegare - e a spiegarsi - le ragioni e le contraddizioni che convivono, per motivi storici e non, su quei territori.
E spesso si definisce, lei per prima, "jugoslava" (a questo proposito, è interessante la differenza che lei fa tra identità e nazionalità). Forse è per questo motivo che la Drakulić è più o meno esplicitamente invisa a quella larga parte dell'intelligentsja conservatrice del suo Paese, la Croazia.
Eppure la scrittrice ha parole dure per il comunismo (o socialismo, chiamatelo come volete, ci si intende) di Tito, o meglio, per i guasti che una certa mentalità comunista ha prodotto tra la sua gente. Non risparmia neppure (anzi!) l'attuale governo al potere (all'epoca, l'HDZ, n.d.r.) e , nel capitolo riservato a Tudjman - Un incontro indimenticabile - tira bordate da seppellire un elefante.
Dopo la prova de Il gusto di un uomo, l'ultimo suo romanzo, Slavenka Drakulić torna a una prosa più ibrida, dove il saggio è anche esperienza intima e personale, non priva di attenzioni letterarie.
Torna soprattutto ai temi della ex-Jugoslavia, a spiegare - e a spiegarsi - le ragioni e le contraddizioni che convivono, per motivi storici e non, su quei territori.
E spesso si definisce, lei per prima, "jugoslava" (a questo proposito, è interessante la differenza che lei fa tra identità e nazionalità). Forse è per questo motivo che la Drakulić è più o meno esplicitamente invisa a quella larga parte dell'intelligentsja conservatrice del suo Paese, la Croazia.
Eppure la scrittrice ha parole dure per il comunismo (o socialismo, chiamatelo come volete, ci si intende) di Tito, o meglio, per i guasti che una certa mentalità comunista ha prodotto tra la sua gente. Non risparmia neppure (anzi!) l'attuale governo al potere (all'epoca, l'HDZ, n.d.r.) e , nel capitolo riservato a Tudjman - Un incontro indimenticabile - tira bordate da seppellire un elefante.
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In modo molto personale ma cerdo profondamente autentico, partendo dalle insegne dei Caffè o dagli atteggiamenti della sua gente ai posti di frontiera, l'autrice indica perché i cosiddetti ex-Paesi dell'Est anelano a un'Europa Unita cui non appartengono e non apparterranno fintantoché continueranno a sognare di far parte di una Europa che non esiste se non nel loro immaginario (per intenderci: un'Europa che accoglie tutto e non chiede niente in cambio).
Nell'esame di coscienza che coinvolge principalmente la storia di Zagabria ma che non trascura Sofia, Bucarest, Praga, Mosca e Budapest, dando conto dei contrasti esistenti tra l'Istria e il resto della Croazia - lei vi ravvisa possibili motivi di conflitto futuri (personalmente sono più preoccupata per la questione del Cossovo e le istanze autonomistiche del Montenegro) -, la Drakulić mette a nudo le parti più miserevoli della coscienza di un popolo.
E in ogni famiglia, si sa, è proibito lavare i panni sporchi in pubblico.
Nei Paesi cosiddetti evoluti, si dirà che è poco fine.
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pubblicato da Avvenimenti il 10.12.1997
Nota. Undici anni abbondanti dopo: la scrittrice continua a vivere in Svezia, è sempre più impegnata civilmente (clicca qui). Io qualcosa l'avevo azzeccata e qualcosa no (Cossovo sì, Montenegro no).
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