venerdì 6 febbraio 2009

Io e Matvejevic' : era il 1996




Matvejević/La mia casa è il Mediterraneo

di Jacqueline Spaccini



Il nostro è stato un lungo rincorrersi telefonico e geografico, fra Roma e Zagabria. Avrei voluto che l’incontro avesse luogo davanti al suo mare, lungo le sponde amate, nella parte più italiana della Croazia, cioè nell’isola istroquarnerina di Cres. Avviene invece, quasi in sordina, nel suo appartamento romano. Predrag Matvejević è nato a Mostar (Bosnia) da padre ucraino, e madre croato-bosniaca, ha lungamente vissuto a Zagabria e a Parigi e di recente [1996, n.d.r.] si è trasferito a Roma.

È professore di Letterature Slave del Sud (croato, serbo e sloveno) alla Sapienza; insegna Letteratura comparata alla Sorbona. Romanziere e saggista, promotore di sempre nuove iniziative culturali, è un intellettuale di fama internazionale a tempo pieno. Per la sua dissidenza nei confronti del presidenzialismo tudjimaniano – e, in generale, nei confronti di tutti i regimi totalitaristi – è inviso alle autorità del suo Paese. Davanti ad una bottiglia di birra, nella calura estiva, con un brindisi semplice in lingua croata, ha inizio il nostro “dialogo affettuoso” che si svolge un po’ in italiano, un po’ in francese.

Cosa significa per lei essere croato?

Io sono una tour de Babele. Figlio di un russo e di una croata, cresciuto in compagnia della lingua francese, nutro un sentimento croato, senza il nazionalismo che oggi può connotare il “croatismo”. Non credo però nemmeno nel panslavismo che, alla stregua del pangermanismo e dell’italianismo stesso, vagheggiato dalla mente aberrante di Mussolini, nasconde sempre una matrice fascista. Se posso essere più preciso, sento una solidarietà slava, sento la tragedia dei popoli slavi. Nei miei libri Entre asile et exil (1995, Tra asilo e esilio) e Le monde “ex” (uscirà ad ottobre per i tipi di Garzanti) parlo della gente degna e indegna della cultura russa che ho conosciuto. Distinguerei però tra la solidarietà per gli umiliati e offesi (come le definiva Dostojevski) e l’intolleranza dell’orgoglio e della vanità comunista. La verità del nostro secolo è che i totalitarismi vogliono l’etnìa pura e finiscono per essere responsabili delle purificazioni etniche. E in questo contesto, io mi sento umiliato e offeso. D’altra parte, sono convinto che un intellettuale che decida di restare ad ogni costo in patria si trova a dover scegliere tra l’obbedienza e il silenzio e l’oltraggio e il tradimento. Diversamente, chi si è ribellato a quest’alternativa e – come me – ha scelto di andare via, è costretto a vivere tra asilo e esilio.

Quanto il Matvejević scrittore ha sofferto per le scelte del Matvejević uomo?

Molto. Mi sono reso conto che spesso ho scritto opere perché sentivo il dovere morale di farlo. Ma non sempre ciò è bene. Se non avessi avuto questo imperativo categorico, probabilmente avrei scritto di più e avrei scritto meglio. Lei pensi che in passato, oltre a Sacharov, Havel e Solgenitzin, ho difeso, tra gli altri, anche l’attuale presidente della Repubblica croata, Franjo Tudjiman (hélas!), quando era perseguitato dal regime comunista… Sa però che cosa hanno scritto di me – dopo la sua elezione – gli organi di stampa dell’Hdz (il partito di governo)? Le do qualche esempio: “Predrag Matvejević è un donatore di sangue altrui”, “quando pugnala una persona lo fa con un coltello spuntato”. E queste cose sono state le accuse più pacate! Come vede, molto spesso è l’uomo a soffrire a causa di quel che fa lo scrittore. Eppure, in un percorso di assoluta depressione, mi sono messo a scrivere Breviario Mediterraneo (Hefti, 1988; Garzanti, 1988-1991), che è considerato il mio capolavoro: a tutt’oggi è stato tradotto in undici lingue.

Lei si definisce un mediterraneo. Ma in cosa consiste la “mediterraneità”? E crede poi che i popoli che su questo mare si affacciano, che di questo mare “si nutrono” e che da questo mare attingono la loro forza vitale, ne siano consci?

La mediterraneità è una coscienza assopita e condivisa da pochi. L’Europa che oggi si vuole fare è continentale, priva della sua culla, sottoposta com’è alla forza economica del Nord. Fino a pochissimi anni fa, la parola in questione esisteva per acquit de conscience (sgravio di coscienza). Neppure in Italia, che è uno dei Paesi maggiormente sostenitori della costituzione europea, nessuno menzionò il Mediterraneo, durante l’ultima campagna elettorale, né a destra, né a sinistra. Sembrerebbe quasi che appartenere al Mediterraneo, equivalga a far parte del Terzo Mondo. Ma quel che dico vale anche per la Francia, la Spagna e la Grecia. Certo, nel Mediterraneo ci sono conflitti tragici (l’Algeria), ma pure forze, risorse e culture che non sono assolutamente prese in considerazione dalle politiche di questi Paesi. Non esistono azioni di concerto. Un grande patrimonio è così lasciato a isterilirsi. La “mediterraneità” si acquisisce, non la si eredita. Non corrisponde certo all’idea che ci rimandano i mass-media (yacht ancorati in porti esclusivi, belle donne seminude a prendere il sole su scogli paradisiaci). E’ un rapporto profondo che si ha con il mare stesso, una fierezza, un mode de vie non banalizzato. Un’individualità non condivisa. Il Mediterraneo è sempre simile e diverso a sé stesso. Ci troviamo in questa similitudine e ci “particolarizziamo” in questa diversità. Purtroppo è un’identità dell’essere e non ancora del fare…


Lei si divide tra Roma, Parigi e Zagabria, senza contare i convegni che la vedono impegnata nelle storiche città del “mare nostrum”… Probabilmente i suoi continui spostamenti all’estero non sono altro che un esilio dorato: ma dov’è la sua casa?

Mi capita a volte di risvegliarmi nel cuore della notte e di non sapere dove mi trovo. La mia condizione, vorrei definirla con un termine heideggeriano, Heimatlosigkeit o, alla francese, apatridité. Insomma, una casa non ce l’ho.

AVVENIMENTI
5 settembre 1996

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N.B. Con tutte le volte che ci siamo incontrati, che abbiamo pranzato o cenato oppure preso un tè o un caffè insieme, in Francia come in Italia o in Croazia, non ti ho mai scattato una foto.


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