Mi spiego: amici, erano amici. Anzi, il più giovane Montale sarà colui che accoglierà a Firenze, sotto il suo tetto, il fuggiasco Saba durante gli anni delle persecuzioni razziali (Felicita Rachele Cohen, sua madre, proveniva da una famiglia di piccoli commercianti ebraici), dopo le sue peregrinazioni a Parigi, a Roma (protetto da Ungaretti, che era colluso col potere). Due poeti a parte intera, senza alcun dubbio, due uomini che vivevano di poesia. Lontani dalle mire di potere, dagli intrighi di palazzo, da adesioni al Regime; quindi due uomini che vengono "messi da parte".
Non essendo vati, i riconoscimenti poetici tardono ad arrivare.
Non ha ancora 30 anni, Umberto Saba, quando la sua prima raccolta di versi viene stroncata dal concittadino Slapater e la Voce gli rifiuta il saggio Quel che resta da fare ai poeti[1]. Montale, invece, già nel 1925 viene pubblicato ed è colui che in Italia ha dato il giusto posto in letteratura a Italo Svevo. Però è una persona che ha conosciuto l'amarezza del non essere allineato e durante il Fascismo [nel 1938] dovrà abbandonare il prestigioso incarico di direttore del Gabinetto Vieussieux per non essersi tesserato.
Scegliamo di comparare tra loro due poesie che in comune sembrano avere un solo elemento: la presenza di animali. Ma vedremo meglio più avanti.
La prima lirica, di Saba, è dedicata a Lina, al secolo Carolina Wölfler, la moglie che Umberto Saba (all'epoca ancora Umberto Poli, suo vero nome) ha sposato due anni prima, nel 1909.
- A mia moglie (1911)
- Tu sei come una giovane
- una bianca pollastra.
- Le si arruffano al vento
- le piume, il collo china
- per bere, e in terra raspa;
- ma, nell'andare, ha il lento
- tuo passo di regina,
- ed incede sull'erba
- pettoruta e superba.
- È migliore del maschio.
- È come sono tutte
- le femmine di tutti
- i sereni animali
- che avvicinano a Dio,
- Così, se l'occhio, se il giudizio mio
- non m'inganna, fra queste hai le tue uguali,
- e in nessun'altra donna.
- Quando la sera assonna
- le gallinelle,
- mettono voci che ricordan quelle,
- dolcissime, onde a volte dei tuoi mali
- ti quereli, e non sai
- che la tua voce ha la soave e triste
- musica dei pollai.
- Tu sei come una gravida
- giovenca;
- libera ancora e senza
- gravezza, anzi festosa;
- che, se la lisci, il collo
- volge, ove tinge un rosa
- tenero la tua carne.
- se l'incontri e muggire
- l'odi, tanto è quel suono
- lamentoso, che l'erba
- strappi, per farle un dono.
- È così che il mio dono
- t'offro quando sei triste.
- Tu sei come una lunga
- cagna, che sempre tanta
- dolcezza ha negli occhi,
- e ferocia nel cuore.
- Ai tuoi piedi una santa
- sembra, che d'un fervore
- indomabile arda,
- e così ti riguarda
- come il suo Dio e Signore.
- Quando in casa o per via
- segue, a chi solo tenti
- avvicinarsi, i denti
- candidissimi scopre.
- Ed il suo amore soffre
- di gelosia.
- Tu sei come la pavida
- coniglia. Entro l'angusta
- gabbia ritta al vederti
- s'alza,
- e verso te gli orecchi
- alti protende e fermi;
- che la crusca e i radicchi
- tu le porti, di cui
- priva in sé si rannicchia,
- cerca gli angoli bui.
- Chi potrebbe quel cibo
- ritoglierle? chi il pelo
- che si strappa di dosso,
- per aggiungerlo al nido
- dove poi partorire?
- Chi mai farti soffrire?
- Tu sei come la rondine
- che torna in primavera.
- Ma in autunno riparte;
- e tu non hai quest'arte.
- Tu questo hai della rondine:
- le movenze leggere:
- questo che a me, che mi sentiva ed era
- vecchio, annunciavi un'altra primavera.
- Tu sei come la provvida
- formica. Di lei, quando
- escono alla campagna,
- parla al bimbo la nonna
- che l'accompagna.
- E così nella pecchia
- ti ritrovo, ed in tutte
- le femmine di tutti
- i sereni animali
- che avvicinano a Dio;
- e in nessun'altra donna.
- Canzoniere, Torino, Einaudi, 1961
- ***
Ho sceso, dandoti il braccio
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede. Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr'occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue. (Satura, Xenia II, n°5 ) |
E solo ora il poeta si rende conto come il rito di darle il braccio per aiutarla a scendere le scale che Drusilla non vedeva bene, significasse "altro", solo ora che lei non c'è più, ora che scende le scale da solo, e capisce che il cieco è lui, e che a ogni gradino incontra il vuoto (vuoi come assenza di lei, vuoi come baratro).
E come gli animali esse sono fedeli.
E come per gli animali, di loro ci si accorge soprattutto quando non ci sono più.
Lo stile di Saba è volutamente teso alla quotidianità della parola, verso la semplicità più banale. Saba rifugge volutamente dagli arzigogoli, cerca la poesia pura e assoluta, ricerca la verità nella parola. Ne consegue che a una prima lettura i suoi testi possano apparire come involontariamente infantili, con dei toni che bruscamente passano dall'alto al basso e viceversa.
Lo stile del Montale di Satura (o più particolarmente delle liriche di Xenia) è quello tristemente disincantato di chi prende distanze dalla vita di tutti i giorni, di chi prepara il suo congedo.
Notevole è comunque rimarcare come la zoomorfizzazione delle persone (care) non squalifichi l'essere umano; al contrario, lo eleva. In passato, penso a Esopo, Fedro e a La Fontaine, per dir cose belle, intelligenti, argute o elevate si antropomorfizzava l'animale. Qui avviene il contrario: una vera e propria metànoia (= capovolgimento di valori).
Non ho video di Saba, ma ce n'è uno breve, in cui il regista Giorgio Strehler legge (benissimo) una poesia di Saba su Trieste e sul destino di essere triestini, sempre inquieti, sempre inappagati.
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[2] Non sarà superfluo ricordare che per il dolore, nove mesi dopo la scomparsa della moglie il poeta la seguirà nella tomba. Dico questo non per ridimensionare la portata dell'omosessualità di Saba, bensì per non rimpicciolire l'amore che sempre nutrì per la sua Lina.
[3] Non il grillo ma il gatto/del focolare/or ti consiglia, splendido/lare della dispersa tua famiglia./La casa che tu rechi/con te ravvolta, gabbia o cappelliera?,/sovrasta i ciechi tempi come il flutto/arca leggera - e basta al tuo riscatto.