sabato 4 aprile 2009

Giorgio De Chirico - La fabbrica dei sogni (mostra)


Giorgio De Chirico. La fabrique des rêves [La fabbrica dei sogni]
Exposition au Musée d'Art Moderne de la Ville de Paris.

13.02– 24.05 2009


Comincerò da quella frase finale che può leggersi affissa al muro, uscendo dalla mostra:

La vie ne serait-elle qu'un immense mensonge ? Ne serait-elle que l'ombre d'un rêve fuyant ? Ne serait-elle que l'écho des coups mystérieux frappés là-bas contre les rochers de la montagne dont personne paraît-il n'a vu le versant opposé ? (1).

Se si tiene a mente quest'interrogazione, questo dubbio, allora cadranno le remore che in genere si accompagnano alla travolgente esibizione della carismatica consapevolezza che De Chirico non risparmiava di sfoggiare nelle sue tele.

Non posso dimenticare un'altra frase del pittore che lo avvicina al "mio" Bontempelli:

Voilà ce que sera l'artiste de l'avenir : quelqu'un qui renonce tous les jours à quelque chose ; dont la personnalité devient tous les jours plus pure et plus innocente (2).

Dico: vicino a Bontempelli, con il quale condivise il periodo iniziale del Realismo Magico, all'epoca in cui l'autore comasco si ergeva a suo difensore, soprattutto dopo il giudizio sprezzante di Roberto Longhi che aveva scritto una recensione - una vera stroncatura - sulle pagine del Tempo nel 1919, dal titolo Al dio ortopedico. Poi i rapporti si erano guastati tra loro, soprattutto nel '42 quando il Pictor optimus aveva deciso che tutta l'arte moderna fosse decadente. Malgrado il rappel di Bontempelli che lo consiglierà di farsi guardingo nelle affermazioni e di preferire l'anonimato, De Chirico conserverà l'idea di essere onnipresente nelle sue tele e autarchico nel panorama artistico forse per colmare il silenzio mulinante dentro di sé.

Eppure, nonostante De Chirico privilegi Böcklin, Courbet e il non più noto, romantico, Piccio - contro i Primitivi amati da Bontempelli, pure - dicevo - questa mostra così immensa che ho ammirato oggi restituisce lembi di quei pittori del Quattrocento (penso a Masaccio, a Piero della Francesca, a Paolo Uccello) che sfuggono dal pennello del pittore, neanche troppo inconsapevolmente. Forse proprio in nome di quella purezza e di quell'innocenza, di quel venir meno (che non esisterà in lui) proprio di quei lontani progenitori pittorici.
C'è tutto Böcklin qui:

a sinistra A. Böcklin, a destra G. De Chirico
e anche nell'Ulisse (autoritratto), ma si pensi a Combat de centaures (1909), in cui riecheggia di certo la Battaglia dello svizzero, ma come non vederci anche Paolo Uccello e un delirante (se mai lo fosse stato) Pisanello (io ci vedo anche Delacroix che riprende Géricault, a dire il vero)?

E che dire di Roger et Angélique, ove la moglie Isa è l'Angelica ariostesca e Roger somiglia piuttosto a un noto San Giorgio - nonché identico - uccisore di draghi?

Per me, che vengo dall'Italia, le piazze, i luoghi solatii, le malinconie pomeridiane e gli enigmi dechirichiani mi escono fuori dalla pelle perché sono dentro di me, ricordano cose familiari, complice senza dubbio l'architettura razionalista che tanto attingerà alla sua pittura.
Per cui questi quadri mi ricordano - anacronisticamente - le città fasciste di Sabaudia, Aprilia, Pontinia, Pomezia, Latina (per me solo luoghi di vacanza, luoghi vissuti attraverso gli occhi della giovinezza paterna).
Anche se dentro - nei quadri, intendo - magari c'è Ferrara, il nulla o il museo di Monaco di Baviera.
E poi mi ricordano anche il Tempio di Vesta, la chiesa di S. Donato a Zadar, la tomba di Cecilia Metella.
Ne metto un po' di seguito:
1.

2. 3.

4.
5. Di sé diceva che gli altri erano invidiosi soprattutto per l'eccezionale qualità della [s]ua pittura; altri lo disprezzavano per quei pupi metafisici, per i convitati di pietra.
Nessuno potrà negare che è stato unico (Carrà ne sa ben qualcosa) e inimitabile.

Ma ha ancora senso cercare di trovare un senso nelle sue tele? E se la vita non foss'altro che un'immensa menzogna...?

Io mi godo i suoi quadri, metto da parte quelli chiassosi che detesto (uno su tutti, quel Capriccio à la manière de Véronèse. Povero Caliari!); metto in conto le repliche; riconosco l'eccellenza della paletta cromatica; amo la sua geometria urbanistica e mi sento un po' come quell'Ulisse di ritorno, marinaio remigante nella stanzetta della mente ché nemmeno più un labirinto è.


Mi fermo qui. Come dice una canzoncina pop, è arrivato il tempo di lasciare spazio a chi dice che di spazio e tempo non ne ho dato mai. [Jacqueline Spaccini, Paris le 4 avril 2009]


N.B. Agli appassionati detrattori del pittore e della mostra, consiglio la lettura di questo articolo che è dalla loro parte (clicca qui).
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(1) E se la vita non foss'altro che un'immensa menzogna? L'ombra d'un sogno fuggevole? E se fosse solo l'eco di colpi misteriosi che s'infrangono contro le pareti della montagna di cui nessuno pare abbia visto il versante opposto? [manuscrit archives fondation G. et I. De Chirico].
(2) Ecco come sarà l'artista del futuro: uno che rinuncia ogni giorno a qualcosa, la cui personalità diventa ogni giorno più pura e innocente [manuscrit Xb].

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