La domanda di partenza è:
che ci stanno a fare quadri e pittori in un testo letterario?Mettiamo un limite, del tutto arbitrario, una data spartiacque, fittizia, scelta in base ad una nostra soggettivissima comodità: 1979.
È l'anno in cui Georges Perec pubblica
Un cabinet d'amateur, histoire d'un tableau per le edizioni Balland. Libro minuscolo (nemmeno un centinaio di pagine), avente per oggetto la strana vicenda di un cabinet d'amateur, appunto, una tela che "rappresenta una stanza rettangolare, senza porte né finestre apparenti, i cui muri visibili sono interamente ricoperti di quadri"; oltre cento, nel caso specifico.
E quel genio di Perec ne fa rivivere le peripezie, anima il suo autore, tale Heinrich Kurz, americano di origine tedesca, descrive con perizia maniacale[1], i quadri ivi riprodotti: "n. 73: Charles M. Murphy che cerca di battere il record del miglio il 30 giugno 1899, di Bernie Bickford". Del quale riporta i tratti salienti della vita, come quando, trentenne, sul piroscafo verso gli Stati Uniti, Bickford fa la conoscenza "di un noto gangster, Michelangelo Merisi".
Non è un gioco difficile da scoprire questo, abbiamo fornito un esempio di pressoché automatico rihiamo di fonti (almeno per un italiano): Merisi... Questo è appunto il gioco di Perec, che così scriverà nell'ultima pagina: "La maggior parte dei quadri (descritti, n.d.r.) è falsa come falsa è la maggior parte dei dettagli di questo racconto fittizio, concepito per il solo piacere, e il solo brivido, di
fare come se"...
Cos'è dunque questo - in fondo, immenso - desiderio di ingannare il lettore, prendendo in prestito lessico e sintassi propri della critica d'arte null'altro che per farlo cadere in un tranello? E il divertimento, consiste forse nel rivaleggiare con la critica, e anzi di batterla, giacché si lavora sulla pura finzione, come il Murphy di B. Bickford?
I quadri, inedite potenzialità narrative, sembrano avere una funzione di avvio di marcia, di
embrayage, spazio organizzato in cui organizzare nuovi spazi, che essi siano falsi alla partenza, poco importa: per Perec la realtà è una semplice questione di esperienza personale, come per il pittore - divenuto a sua volta personaggio di un romanzo di Giovanni Orelli (
Il sogno di Walacek, Einaudi, 1991) - Paul Klee. Il quale così argomentava, nei suoi scritti teorici: "Un'opera d'arte può falsificare la realtà per coglierne più profondamente l'essenza. In tal caso, la menzogna è solo una verità fuori posto".
Anche alla finzione si può dare un posto sbagliato: perché, per esempio, attribuirle il peggiorativo semantico (ma più spesso morale), che solo l'italiano accoglie?
Come mai non viene concesso alla finzione di rappresentare una realtà che essa stessa costruisce e perché non prestarla all'area della magia oppure a quella più umana del sogno? [2]
È quel che fa Sergej
Roić, ticinese di origine croata, nel suo
Innumerevoli uomini (Giampiero Casagrande editore, 1991). Non a caso il titolo rivela - e rivendica per così dire - ascendenze borgesiane.
I protagonisti dei suoi racconti sono Jan Vermeer, El Greco, ma anche Han Van Meegeren, il falsario più famoso noto solo perché fu lui stesso ad autodenciarsi come tale e a fornire quelle prove di inautenticità di cui i critici più prestigiosi non s'erano minimamente accorti. Ma i protagonisti sono tali o non è tutto un sogno? Il sogno di colui che scrive e si confonde e poi si ritrova: "Rifletterei che ogni cosa, a ognuno accade precisamente, e precisamente ora. Secoli e secoli, e solo nel presente accadono i fatti; innumerevoli uomini nell'aria, sulla terra o sul mare, e tutto ciò che realmente accade, accade a me", scriveva Borges nelle sue
Finzioni.
A dire il vero, il termine conosce un grande consenso se tradotto in inglese,
fiction. Fino ad alcuni anni fa, si accompagnava "naturalmente" a
science (
science-fiction), vale a dire fantascienza.
Ma oggi tutto è
fiction, anche e soprattutto, il romanzo a intrigo (giallo o
noir che dir si voglia). Pittura e delitto, per esempio [3]: chi scopre il mistero legato alla
Partita a scacchi - un celebre quadro di Pieter Van Huys - scopre l'assassino. È in sintesi il tema proposto dallo spagnolo Arturo Perez-Reverte ne
La Tavola fiamminga (Bompiani noir, 1994. Venne girato un film
Uncovered, tratto da questo romanzo. Stendo, per soprassalto di bontà, un velo pietoso).
Esistono oppure no, Van Huys e il suo quadro? Non intendo di certo rivelarlo qui; quel che fa il peso specifico della storia è la presenza dell'elemento pittorico apparentemente lontanissimo da meccanismi siffatti, come pretesto iniziale di un thriller anomalo (non mi si citi
La Nona porta di Polanski: altro romanzo,
Il Club Dumas, di Perez-Reverte adatto a film).
Nell'
Elogio della matrigna (Rizzoli, 1990), Mario Vargas Llosa ricorre a quadri e autori conosciuti, come il tabuizzato
Candaule (re della Lidia marchiato come voyeur sado-masochista dalla psicoanalisi moderna) di Jordaens.
Una
riproduzione della tela precede il racconto vero e proprio, e mostra le straripanti terga della regina, la quale ignora di essere oggetto dello sguardo compiaciuto del marito e di quello eccitato di Gige, guardiasigilli del re. Vargas Llosa parte dalla descrizione oggettiva di un dipinto, ma poi se ne allontana: rileggendolo, lo ri-dipinge; ne riscrive la storia, la ri-crea. Il romanzo erotico che narra i sentimenti di Lucrezia per suo marito e il di lui figlioletto risulta essere sorretto dalla storia dei quadri presenti nella stanza del sesso, cioè dalle storie che essi raccontano, e ne costituiscono per così dire il ponteggio mobile.
Di Duccio di Boninsegna si sa poco, come pure di Pisanello. Ci voleva la maestria di Eduardo Rebulla (tra le altre cose, medico e critico d'arte) per restituirci i loro dubbi, gli amori e i pensieri (
Carte celesti, 1990 e
Linea di terra, 1992, entrambi Sellerio).
Pittore protagonista è anche Fabrizio Clerici [4] ne Le pietre volanti (Rizzoli, 1992) di Luigi Malerba, il quale paga subito il suo debito: "questo libro è nato davanti a un quadro di Fabrizio Clerici...", rimanendo poi libero di lavorare senza assilli di autenticità o di verosimiglianza (per quanto).
Un'ultima sosta la faccio in un testo che sembra racchiudere tutti i precedenti, se non altro da un punto di vista spaziale. Mi riferisco a un racconto di Daniele Del Giudice,
Nel museo di Reims (Mondadori, 1988, esaurito da anni): ambientato nel museo suddetto, va letto come metafora del labirinto e dell'istituzionalità. In esso, si incontrano quadri che esistono e altri no, quadri che assecondano l'amore (Barnaba e Anne, i due protagonisti), quadri descritti e che descrivono, che si raccontano accanto ad altri quadri che rimangono mistero...
Menzogna e realtà: ruoli e funzioni? Che importa, giacché "si può mentire non mentendo", dice il narratore delgiudiciano, ma - aggiungo io -
mentendo si può non mentire. [
Jacqueline Spaccini]
[1] Alla medesima operazione pare ispirarsi Alessandro Baricco: "24, Oceano mare, olio su tela, cm. 71,6 x 38,4 Coll. Bartleboom. Descrizione: Completamente bianco. È l'ultima opera realizzata durante ilsoggiorno alla locanda Almayer, località Quartel..." (da
(Feltrinelli, 1988), la cui atmosfera è quella della fiaba medievale o della realtà inesplicabile in quanto assurda e in cui i protagonisti possono solo accettare gli eventi o rifiutarli, senza possibilità di intervento.
(Adelphi, 1994) di Piero Meldini. Qui abbiamo un vescovo, un bibliotecario, dei manoscritti; una beata, un quadro e, naturalmente, un delitto da risolvere. Cfr. anche Emilio Tadini,
(Einaudi, 1982): qui è il pittore a essere assassinato.
(Mondadori, 1992), Vincenzo Consolo rende omaggio al celebre artista prendendone a prestito il nome e il carattere per il suo Fabrizio Clerici, immaginario artista lombardo amico degli Illuministi nonché protagonista del romanzo. A Sciascia, Clerici ispirerà la trama di
. (Einaudi, 1974).