domenica 1 luglio 2012

Se un traduttore cambia di sta(tu)to









Le Jardin perdu di Jorn de Précy è uno strano libro, smilzo nelle dimensioni e denso nel contenuto è uscito per i tipi Actes Sud nel settembre 2011. Il sottotitolo parla di essai, cioè di saggio, tradotto dall'inglese da Marco Martella, ma a leggerlo si ha l'impressione di trovarsi davanti a un romanzo filosofico, livre à thèse,  come si usava alla fine del '700 o ancora nel secondo '800. Lo stile è sobrio. E nelle vostre orecchie già riecheggia un altro titolo, Le Paradis perdu/Il Paradiso perduto, un poema che fu anche un best-seller, di John Milton (1667). 

Come ogni saggio (per di più  a tesi) che si rispetti, è diviso in capitoli, comprende una prefazione e una conclusione. E a sorpresa (ma poi davvero?) aprendolo, troveremo  una manciata di pagine intitolate L'Enigma Jorn de Précy vergate dal suo traduttore (francofono) come incipit. Dico da subito che per me il capitolo più interessante è quello che riguarda il concetto di genius loci (incentrato sulla nozione di divinità del luogo e bosco sacro, nonché sulla magia dei giardini rinascimentali). Chiude il testo una breve nota dell'editore (come usavano fare certi autori inglesi del XVIII secolo), sulla quale non voglio anticipare nulla per il momento.  
Il libro è stato appena tradotto in italiano da Laura De Tomasi per i tipi Ponte alle Grazie con il titolo E il giardino creò l'uomo




Direte voi: ma chi accidenti è questo Jorn de Précy? La quarta di copertina s'incarica di darne una sommaria biografia. Traduco:

Jorn de Précy (1837-1916), giardinere-filosofo inglese di origine islandese, ha profondamente influenzato l'arte dei giardini anglosassoni del Novecento. Amico di artisti quali William Morris, frequentò gli ambienti radical-socialisti dell'Inghilterra vittoriana. È il creatore del giardino di Greystone (Oxfordshire), oggi scomparso.

Questo libro ha dapprima vinto il Premio Lire au Jardin 2012,  poi il premio letterario  del prestigioso Premio P. J. Redouté (13esima edizione) e, qualche giorno fa, anche il Prix Tortoni 2012.



Nel mio blog dedicato ai traduttori è iniziata l'intervista a Marco Martella che si continua su quest'altro blog più letterario.
Consiglio di leggere prima quanto scritto qui e poi di tornare a leggere le righe che seguono. Se invece provenite dal blog Traducete innanzi quel traditor d'un traduttore, continuate pure a leggere...

Intervista  a Marco Martella


D. Si diceva allora: l'arcano: Jorn de Précy, l'oscuro giardiniere-filosofo inglese di origine islandese creatore di un giardino andato perduto, altri non è che... MARCO MARTELLA.

R. Non si tratta di un vero falso storico, piuttosto di un gioco con il lettore che au fil des pages, si ritrova spesso a dubitare: Jorn de Précy è esistito veramente? Possibile che, avendo vissuto più di cento anni fa, avesse una visione così moderna delle derive della civiltà occidentale, dell'emergenza ecologica, del giardinaggio? Il suo parco di Greystone infatti sembrerebbe uno dei nostri giardini "naturali", e la sua idea del giardino come luogo di resistenza sembra scaturire direttamente dalle teorie contemporanee della deep ecology (ecologia profonda).

D. Non del tutto vero, ma neppure del tutto falso, dunque. Ci sono personaggi storici all'interno del libro? Chi ha letto la Caduta dei Giganti di Ken Follet capirà immediatamente...

William Morris
R. In questo saggio-romanzo, il vero si mescola costantemente al falso: se è vero che né Jorn né il suo fedele giardiniere Samuel sono mai esistiti, è altresì vero che William Morris, Gertrude Jeckyll, William Robinson e George Bernard Shaw, che appaiono nel libro come amici (o rivali) di Jorn, fanno veramente parte della storia del pensiero e dell'arte dei giardini inglesi dell'epoca. Non pretendo di avere inventato nulla in questo. 

D. A chi sta pensando? Perché io penso subito al Vernon Sullivan di Boris Vian...

R. Già da qualche anno lo scrittore spagnolo Enrique Vila-Matas fa qualcosa di simile. Ma la letteratura non è, in fondo, un gioco continuo tra immaginazione e realtà? L'uso di una maschera letteraria e della lingua straniera fanno parte di un distanziamento che, per qualche ragione misteriosa, hanno reso questo libro possibile. Sapevo solo, scrivendo, che era la direzione giusta. 


D. È dunque tornato ad assumere quella posizione di «equilibrio precario» di cui parlava all'inizio della nostra intervista...

R. Già.  Questa zona di confine labile, dai contorni incerti e che si muove di continuo, è per me una delle più fertili in letteratura. A ben riflettere, scrivendo direttamente in francese Le Jardin Perdu non mi sono allontanato poi molto dal mio primo mestiere.




D. Si spieghi meglio...


R. Voglio dire: se ciò che definisce il lavoro di traduttore è quest'esercizio periglioso (alcuni direbbero "impossibile") che consiste a restare in bilico tra due lingue, due culture, due modi di vedere e quindi di esprimere la realtà, questo si adatta anche al mio lavoro recente. Difatti, scrivere in una lingua che non è la propria vuol dire - secondo modalità che non so correttamente spiegare neppure a me stesso - vuol dire, dicevo, autotradursi.


Saint-Loup-de-Naud, 30/06/2012 



Vernon Sullivan 
pseudo di Boris Vian