martedì 16 dicembre 2008

Lettera da Casablanca di Antonio Tabucchi

La Palma, il bambino, la ferrovia, i mutamenti della vita e una città del Marocco ossia Lettera da Casablanca, racconto contenuto ne Il gioco del rovescio [1] di Antonio Tabucchi.

* * *

Agli studenti - non specialisti di italiano - del corso di Letteratura moderna e contemporanea. E a chi vuol leggere...

Non è un testo - quello di Tabucchi - difficile a leggersi: non presenta - volutamente - un italiano complicato; al contrario, è sintatticamente molto familiare, vicino all'oralità, senza mai scadere nel banale, né nel triviale.


Tabucchi ci tiene. Vuole, ama, desidera che un suo testo - letto ad alta voce - possa dare l'impressione d'essere "detto"/letto in quel preciso istante, così come passa per la testa a chi parla/legge, come se fosse un parlar spontaneo e non un testo pensato.

È fatto così, Tabucchi. E questa è una delle particolarità che ne contraddistinguono lo stile.


Torniamo al testo.
Per chi - come me - ha una certa età, una parola nel titolo, Casablanca, evocherà subito due cose: la prima è il celeberrimo - nonché omonimo - film (1942) di Michael Curtiz con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman; la seconda, rinvierà la mente a certe pratiche chirurgiche (non anticipo troppo) che venivano (e vengono) eseguite a caro prezzo nella città marocchina situata sulla costa dell'Oceano Atlantico.

Per il momento sapete che si tratta di una lettera (scritta da quella città, e per il fatto che sia menzionato il suo nome DEVE avere la sua importanza).

Lo stile sarà epistolare, monodialogante (una sola persona scrive e per noi che leggiamo: "parla"); di certo non troverete un linguaggio freddo e burocratico, bensì caldo e affettuoso.

E dunque. Punto primo: Borgart e la Bergman non c'entrano nulla.


Andiamo allora all'analisi del testo.

Sappiate che le domande sottintese - alle quali dovrete trovare una risposta a partire dal testo - sono le seguenti:


1. chi sono i protagonisti di questo racconto?
2. quali sono i rapporti che intercorrono tra loro? Sono amici, amanti, parenti?

3. perché viene evocata la palma?

4. dove e come viveva la famiglia della storia ?

5. perché la palma si chiama Giosefine?

6. c’è un passaggio ironico nel brano, rintracciabile nello stile usato. Qual è?

7. perché il narratore non vede Lina da così tanto tempo? Che cosa è successo?

8. quale significato simbolico rappresenta la palma?

9. quanti anni ha il protagonista?

10. in quale momento apprendiamo se è un uomo o una donna a scrivere la lettera?

11. qual è lo stile che Tabucchi utilizza? Può dare qualche esempio?
12. il titolo Lettera da Casablanca suggerisce qualcosa. Che cosa?



Leggiamo il testo, prima. Il testo - in versione integrale (da p. 27) - è visionabile qui

questa foto di Casablanca è prelevata dal sito http://www.laurajchilds.com

Fin dall'incipit, scopriamo che la lettera, scritta da un io narrante [narrateur autodiégétique] inizialmente anonimo, è destinata a una misteriosa Lina (misteriosa solo perché non ne sappiamo nulla), con la quale la persona che scrive questa lettera non ha più rapporti da diciotto anni. Apprendiamo anche che lo [o la] scrivente sta in ospedale - come degente - e che dalla sua finestra vede molte palme (e certo, siamo a Casablanca!) che fanno tornare alla mente una palma in particolare.
"Davanti a casa nostra, quando eravamo bambini, c'era una palma", dice il testo. Allora questa Lina è qualcuno di molto intimo, forse un'amichetta di infanzia o più probabilmente una persona di famiglia (casa nostra/eravamo bambini).
Ma andiamo alla palma. Una palma che Lina non dovrebbe ricordare perché troppo piccola e che l'io narrante ricorda benissimo perché all'epoca in cui fu abbattuta - nel 1953 - aveva 10 anni. Ritenete questo elemento e mettetelo da parte.
Segue un passaggio in cui apprendiamo che l'infanzia (di cui Lina non ha ricordo, perché troppo piccina), l'hanno trascorsa assieme e che poi la bimba si è trasferita a vivere con la zia, lontano da "mamma e papà" (allora chi scrive è fratello/sorella di Lina), per motivi sconosciuti a noi che leggiamo. Apprendiamo anche che gli zii - presso i quali vivrà Lina - abitavano lontano, al Nord (quindi la famiglia abitava al centro oppure al sud) e che la famiglia di Lina e del narratore è quella di un casellante (= garde-barrière).
Il casellante (che è il sorvegliante di un passaggio a livello ferroviario) e la sua famiglia vivono in genere lontano da tutto e da tutti, in una casa che le Ferrovie dello Stato mettono a disposizione (e che si chiama casa cantoniera).
Ecco di seguito 4 esempi di case da casellante:

Vedete come sono isolate?
La palma in questione viene abbattuta (= le palmier a été abattu) , si è detto. Perché e da chi?
(la foto della palma è di Alessandro Dimai: www.cortinastelle.it)
La palma fu abbattuta in seguito a un'ordinanza [= un arrêté/décret] del Ministero dei Trasporti, recita il testo, in quanto impedisce la visuale dei convogli di passaggio, il che può essere causa di incidenti [= il fait obstacle à la visibilité et peut provoquer un accident]. La loro è una palma bruttina, esile, magra magra che non dà fastidio a nessuno. Ma se il ministero ha deciso così...

Allora la mamma di Lina e dell'io narrante prende carta e penna e decide di scrivere direttamente al Ministro. Le parole pseudoburocratiche, in un italiano ingenuamente (ma è un'ingenuità costruita, ricordatelo: è Tabucchi che scrive) e goffamente altisonante che la mamma ricerca nella memoria delle cose sentite e che vorrebbe restituire nel foglio - affinché la sua voce sia ascoltata da un ministro - sortiscono un effetto buffo, comico (= produisent un effet cocasse):
" in relazione alla circolare numero... protocollo... palma situata nel terreno antistante a... la suddetta palma non costituisce impaccio... essendo molto amata e facendo compagnia al bambino di salute cagionevole... avendoli noi portati... basta dire che l'hanno battezzata e non la chiamano palma ma la chiamano Giosefine....[2]

Si avverte una certa enfasi e sintassi di tipo fascista (il discorso della mamma fa tornare alla mente certe frasi mussoliniane), una rigidità sintattica (sia pure "fuori posto")... tutte cose che farebbero pensare a una gioventù con trascorsi borghesi - ha studiato, lei -, poi dimenticati o rimossi, oppure semplicemente seppelliti. E insieme, c'è anche una tenerezza di mamma e una semplicità che commuovendo il narratore commuovono anche un lettore sensibile ("l'hanno battezzata"; Joséphine [3] che si semplifica, italianizzandosi - per calco popolare - in Giosefine).

C'è una antropomorfizzazione evidente: la palma prende non solo sembianze umane, ma persino un nome femminile. Vediamo quindi quanto questa pianta fosse importante nella vita - di certo molto solitaria - dei bambini della famiglia dei casellanti.

Ora nel testo integrale ci sono tante cose che vi farebbero comprendere facilmente come e perché la mamma sia morta quando erano bambini, perché Lina sia andata a vivere dagli zii e sia stata separata dall'io narrante (che giocava col fucile, a 10 anni), il quale le dice anche - verso la fine: "ricordati che papà non era cattivo, perdonalo come io l'ho perdonato" - (= rappelle-toi que papa n'était pas méchant, pardonne-lui comme je lui ai pardonné).
Ma voi non avete il testo integrale nell'antologia e quindi sarà più difficile (ma non impossibile) rispondere a certe domande.
Sapete però fare 1 + 1: una mamma che muore, un papà che in fondo non era cattivo e che bisogna - se si ha cuore - perdonare, dopo tutti questi anni...

La parte che non c'è nel vostro manuale, qui la potete leggere: si parla di come il bimbo inviato in Argentina da certi zii diventi* una sera una bella cantante (en travesti, certo), come avete forse visto in un film di Almodovar come Tacones lejanos (Tacchi a spillo/Talons aiguilles):



E dunque ora si trova in un ospedale, scrive alla sorella perché non è sicuro - lui - che l'operazione chirurgica cui si sottoporrà (presumiamo: il cambio di sesso) avrà esito positivo. A Lina, sua sorella, chiede - in caso contrario - di esser seppellito (= enterré) nel piccolo cimitero in cui riposa la mamma, di essere posto accanto a lei e di volere sulla lapide (= pierre tombale, plaque) non una fotografia che lo ritragga (= qui le représente) da adulto, bensì da bimbo, quel bimbo di sei anni che era felice.
Ma soprattutto:

"Date non ne voglio. Non fare mettere iscrizioni sulla lapide, ti prego, solo il nome, ma non Ettore: il nome con cui firma questa lettera, con l'affetto del sangue che a te mi lega, la tua Giosefine".[4]

Credo che Tabucchi si sia (in parte) ispirato[5] alla vicenda di Jacques-Charles Dufresnoy, divenuto Jacqueline-Charlotte a seguito di un'operazione chirurgica fatta a Casablanca nel 1958 e mondialmente noto come Coccinelle. Nel 1962, ottenne il cambio di stato civile, divenendo anche davanti allo stato, una donna. Dopo di lei, però, e fino al 1978, nessuno in Francia poté - causa le proteste e lo scandalo - cambiare sesso all'anagrafe (= registre d'état civil).



Bene, a questo punto avete tutti gli elementi per rispondere alle otto domande iniziali.
Ricordate che Ettore diventa Giosefine che era il nome della palma abbattuta quand'era piccolo.
Ricordate che il titolo della raccolta è Il gioco del rovescio e che ciò che interessa Tabucchi è constatare come i racconti de Il gioco vadano tutti verso un'unità contraddittoria[6].

Jacqueline Spaccini
________
[1] Antonio Tabucchi, Il gioco del rovescio. Milano, Feltrinelli, 1981
[2] "suite à la circulaire... alinéa... relative au palmier qui s'élève dans le petit terrain situé devant le poste de garde ... ledit palmier ne constitue en aucun cas une gêne pour les convois qui passent à cet endroit... tient compagnie à notre fils, qui en raison d'une santé fragile... il suffit de dire qu'ils l'ont baptisé : au lieu de l'appeler palmier, ils l'appellent..."
[3] Si cita un episodio del fim 47 morto che parla (1950) con protagonista Totò, ma credo che in realtà l'episodio raccontato con una Joséphine Baker " che balla con un copricapo fatto di foglie di palma" appartenga a un altro film di Totò, Carosello del varietà (1954). Bisognerebbe rivedere i due film per controllare.
* Subjonctif italien.
[4] "Je ne veux pas de dates. Ne fais pas mettre d'inscription sur la plaque, je t'en prie, rien que le prénom, mais pas Ettore : le prénom par lequel signe cette lettre, avec l'amour fraternel qui me lie à toi, ta Joséphine" ( la traduction est signée par Lise Chapuis et Martine Dejardin).
NOTA MIA:Trovo bizzarro tradurre affetto del sangue con amour fraternel - pourquoi pas sororal ? - e sono assolutamente in disaccordo sulla scelta di Joséphine - grafia corretta - quando Tabucchi ha optato per Giosefine - grafia errata per calco - con un significato denso dentro, di cui le traduttrici non hanno voluto tener conto.
[5] E se così non fosse, sarebbe comunque una curiosa coincidenza.
[6 ] Dalla quarta di copertina (= quatrième de couverture).

lunedì 8 dicembre 2008

Stefano Benni e Lucio, professore pensionato di latino

Lezione dell'11.12.2008 destinata agli studenti non specialisti di italiano (L3), option Littérature.
E a chi ha voglia di leggere...



Questa settimana abbiamo un brano di Stefano Benni da analizzare, che nella vostra antologia porta il titolo: Lucio, vecchio (tratto da Comici spaventati guerrieri, 1986) .
Il brano è consultabile anche via internet, qui (da p. 12 a p. 16, pour la version intégrale del brano antologizzato).

Intanto, memorizziamo il titolo, composto da tre parole che in genere non si trovano assieme e danno un effetto di discordante significato, o per meglio dire, forniscono significati plurimi.

Il titolo, dicevo, è estrapolato da un monologo di un personaggio importante del libro: Lee.
Chi è Lee? E gli altri personaggi? Dove è ambientato il romanzo? E soprattutto di che cosa parla? Che mondo ci racconta?
Procediamo con ordine, ché di che cosa parla lo vedremo nell'analisi del brano (sempre dal particolare al generale, metodo induttivo, critica testuale).

Abbiamo detto del monologo. Eccone uno [a] stralcio (che non avete nella vostra antologia), seguito dalla [b] lettura che lo stesso Benni ne fa (video youtube).

[a] stralcio (= extrait)

[...] tu che mi hai visto felice, tu che sei coraggiosa tu che a volte mi hai lasciato solo come un cane tu che adesso per favore scendi non guardarmi ti dico, questo è un sentiero per comici spaventati guerrieri e io non voglio né vincere né perdere, solo che tu mi ricordi... e dopo che mi anneghino nello zero di quelle medicine e mi chiamino come vogliono e tornino a raccontare le loro storie, non sono vere, manca metà, tu lo capisci cara, almeno tu e allora scendi da questa macchina, per favore.
“Vengo con te” disse Lucia.
[b] pezzo del monologo letto da Stefano Benni:

È Lee che parla, uno dei personaggi, Lee che è scappato dal manicomio e incontra la sua ragazza, Lucia, che non vede da anni (appunto perché è andato in manicomio) e parla del sentiero per comici guerrieri spaventati...
Dov'è ambientato il romanzo? In Italia, certo.

In quale regione e città?

In Emilia, a Bologna (che ne è il capoluogo), ma non viene detto mai nel romanzo.

1. Perché Bologna? 2. Da che cosa lo capiamo? 3. Perché non viene esplicitamente citata la città?

Innanzitutto è la città in cui Benni è nato 61 anni fa (nel 1947) e si sa che gli autori cittadini si alimentano della linfa vitale che scorre nei luoghi in cui sono nati e cresciuti; Bologna è una città di provincia, ma non è una città provinciale. Che cosa voglio dire? Nell'immaginario collettivo - e non solo dans l'imaginaire collectif - Bologna è una città ricca di fermenti, città di giovani, città di dicotomie forti (notate che sulla figura retorica dell'ossimoro è costruito tutto il romanzo) , città reale e città di sogno, città brutale e città gentile. Insomma, una città ideale in cui far vivere una storia apparentemente strampalata (= farfelue) come quella di Benni.

Da che cosa lo capiamo? Da una maglietta, cioè da un ragazzino di undici anni (non c'è nel vostro brano), Lupetto, che quando va a giocare a calcio indossa la maglietta rossoblù (colori della città di Bologna. Per la verità, anche del football di Genova, Cagliari, Taranto e così via). E poi c'è l'onnipresenza delle biciclette (caratteristica più regionale che urbana dell'Italia padana).
Per il momento, non rispondo alla terza domanda.

Vi propongo adesso un video youtube: poco più di un minuto del film Musica per vecchi animali (1989), tratto proprio da questo romanzo.
Benni ne è anche il regista. Protagonista nel ruolo del vecchio Lucio Lucertola, il professore, Dario Fo (comico e premio Nobel per la letteratura 1997) insieme con Paolo Rossi, nel ruolo di Lee, l'enfant terrible della comicità intelligente (= satirica) italiana. Un ruolo (il guardiano del Museo) in questo film [clicca qui per vedere la sua interpretazione sulla antica civiltà della caffettiera] lo ha anche il famosissimo cantautore Francesco Guccini (una sorta di Renaud italiano, più vecchio e molto più impegnato politicamente)...




E veniamo finalmente al brano da analizzare.

Incipit: il protagonista, Lucio Lucertola, lo vediamo nel terrazzo del suo condomìnio (= immeuble); presumiamo sia uno di quelli a nove e più piani (sospeso trenta metri sulla crosta terrestre in un terrazzo aggrappato alla parete nord del Monte Tre nella catena dei periferici, in cui seimila appartamenti)... in quelle sorte di Muraille de Chine che esistono dappertutto, in Francia come in Italia.

Lucio Lucertola vive in una zona di certo inquinatissima, se capite bene il messaggio tra l'ironico e il sarcastico contenuto nel nome del suo quartiere, "Fagiolo" (deve il suo nome al fiume Fagiolo, così chiamato per la purezza).

fagiolo (= haricot)
Il quadro successivo che Benni descrive (Questo fiume... via da lì), ci fa comprendere che
a) non solo un tono ironico pervade il testo,
b) non solo un intento moralizzatore si fa evidente in controluce, ma anche che
c) un'atmosfera sospesa tra realtà e sogno fa[rà] da fondale (= toile de fond) alle storie raccontate (i personaggi hanno quasi tutti nomi e/o cognomi di animali).

Poiché c'è inquinamento atmosferico (= pollution), sul suo terrazzo, Lucio Lucertola [vi dico subito che ha 70 anni e che è un professore di latino in pensione (= retraité), ricordatevi di Dario Fo nel video youtube ci-dessus] ... Lucio Lucertola - dicevo - ha una pianta di basilico [che] è giallo e il canarino [che] è verde, le monde à l'envers, insomma.
Insieme coi gerani, altri fiori abbelliscono i terrazzi di questi megacondomìni: conoscete quei fiori dai nomi esotici Magliadilana e Mutande?

Ora apprendiamo che Lucio vive all'undicesimo piano e che davanti e attorno a sé, vivono altri pensionati; ci sono altri Luci come lui, che si muovono, ognuno nel proprio appartamento in pigiama, di quei pigiami a righe che fanno pensare ai "galeotti" (= détenus) e che danno una nota di tristezza e di grigiore al personaggio.

[Qui il brano della vostra antologia opera un taglio e riprende laddove qualcuno parla a Lucio, dicendogli]
Non puoi continuare così
, dice Caruso (che ha il nome di un noto tenore, ma è il canarino verde) a Lucio che parla da solo e che guardando gli oggetti ne vede altri, quella della memoria, persone e animali che non ci sono più.
E anche lui - Lucio- si considera un po' come un animale, preistorico, di una specie che sarà ben presto estinta (a volte mi sento anch'io come un insetto, dentro una bacheca di vetro e sotto il cartellino: Lucio, vecchio).

insetti dentro una bacheca


Insomma, la vita di Lucio Lucertola così come i suoi dialoghi (reali, allucinati, surreali, sognati?) col canarino Caruso che possiede argomentazioni taglienti (come quando Lucio dice che vorrebbe tornare il giovane prof che fu, al che Caruso replica che lui, no, non vorrebbe tornare indietro, giacché un uovo è più stretto di una gabbia), la vita di questo pensionato oscilla continuamente, come un pendolo, spostandosi dal comico al tragico. Tragicomico, insomma.

Ed è lo stesso Benni a spiegare che comico e tragico sono per lui (e non solo per lui) due facce della stessa medaglia (eh, Pirandello lo diceva molto tempo prima di lui) . Vogliamo ascoltarlo?



Non ci sono opposizioni tra comico e tragico, le due tonalità sono complementari nella scrittura di Benni. Il contrario del comico non è il tragico - dice lo scrittore -, è l'indifferente, colui che non sa cogliere l'umorismo, né sa partecipare al dolore altrui.
Benni fa poi riferimento a Totò, un comico che ama e che per lui resta un mistero, inesplicabile, indefinibile.

La scrittura comica è difficile, dice Benni. La scrittura orchestrale, la sta ancora imparando, perché gli "strumenti" sono tanti (un esempio in questo senso, lo dico io - non lo dice Benni -, è lo script, tutto il film de La vita è bella di Roberto Benigni).

Benni vuole ridare dignità alla scrittura comica - spesso confinata a carne da macello per le barzellette, per il cabaret, per certi film di commedia all'italiana e nel romanzo doveva entrare di straforo - e cita Gadda, come esempio di narrativa comica di straforo (= subrepticement, à la dérobée). Tutta la sua narrativa va in questa direzione.


Nota dissonante. Ha scritto il critico Carlo Schiavo (clicca qui) che la narrativa di Benni conosce una parabola discendente dall'inizio degli anni Novanta, vale a dire da La compagnia dei Celestini (1).
Se così è, la cosa non vale in Francia, ove Benni è - per i cultori, certo - un astro che brilla nel firmamento della letteratura impegnata italiana (qui l'intervista di Focus - L'Italie en France, giornale italiano scritto a Parigi. Da notare che Lupus [o il Lupo] è il soprannome di Benni).

Aggiunge il critico che in questo libro "il sogno acquista un potere cognitivo che sarebbe altrimenti negato alla realtà e nella realtà: Lucertola viene a capo dell'inghippo(*) [= embrouille] sognandone la risoluzione; mentre un altro personaggio, Lee, vive perennemente sospeso tra lo stato onirico e quello reale, i quali fluiscono di continuo l'uno nell'altro, e in lui divengono anzi delle vere e proprie categorie ontologiche" (2).

È vero, e talvolta dà fastidio, ma è anche vero che paradossalmente Benni è quantomai realista, descrivendo - per quel che è di Lucio Lucertola - una condizione propria della vecchiaia.

Senza contare che a me personalmente Lucio rimanda, coi suoi monologhi-dialoghi, a un personaggio di Tabucchi che amo molto: quel Pereira che al cinema abbiamo identificato con la densa corporeità e la pastosa lingua familiare di un Marcello Mastroianni, la cui assenza si fa sempre più presente (1995).

Ma questa è davvero tutta un'altra storia.
[Jacqueline Spaccini]

_________
(1) "Basterebbe forse pensare a La Compagnia dei Celestini (Milano, Feltrinelli, 1992). Uscito tre anni dopo il film, attinge, di nuovo, alle medesime istanze di Comici spaventati guerrieri: divisione manichea Buoni/Cattivi, importanza dei sogni, convivenza di iperrealismo e surrealtà. Ma il legame più stretto e maggiormente palesato con l'attualità rende il romanzo insistentemente pedagogico, ed edificante e prevedibile la sua morale" (Carlo Schiavo, Identità italiana e identità regionale tra letteratura e cinema. 2001, Sito internet del'università di Bologna, Boll900).

* In realtà è ben più che un inghippo: Lucio riuscirà a scoprire - grazie a un sogno che fa - l'identità dell'assassino di Leone, un giovane calciatore innamorato e amato da tutti (nonché ex allievo di Lucio), trovato morto e ucciso da un colpo di fucile nel cortile del condomìnio. Lucio scoprirà chi è l'assassino in sogno. Io non sono mica riuscita a capire chi è stato. Ho l'impressione che Benni faccia come Edgar Allan Poe ne La lettera rubata e Sciascia in Todo modo...

(2) Ibidem.