di Jacqueline Spaccini
(e Carlo Lucarelli e Coliandro - che nome non ha)
I personaggi, soprattutto quando credi di averli capiti, imbrigliati e ridotti, ti fregano. ti distrai un momento e scappano. Cambiano. Il primo errore è stato fisiologico. Perché la storia andasse avanti avevo bisogno che Coliandro fosse almeno onesto. Altrimenti si sarebbe fermato a pagina dieci: alla prima difficoltà il protagonista dice: «Scusate, tengo famiglia» e si ritira. No, Coliandro è tutto ma non è corrotto e quando indaga, anche a rischio della pelle, va avanti e non si compromette. Primo errore.
Secondo errore. A un certo punto mi è venuta l'assurda paura di essere confuso con Coliandro e i suoi valori di riferimento. Di essere scambiato io per machista, rambista e razzista. È un pensiero assurdo, una preoccupazione da principianti alle prime armi, uno scrittore non dovrebbe mai chiedersi che cosa pensa la gente di lui, dovrebbe scrivere tutto quello che la storia che sta craccontando gli impone e farlo nel modo migliore e basta, ma a me venne quel pensiero lì. Così ho risolto con l'ironia. Coliandro fa una cosa, una delle sue, dice una cosa delle sue, rambiste, machiste e razziste, e inevitabilmente finisce in una situazione ironica in cui fa brutta figura, sempre. Secondo errore.
Terzo errore: l'ho fatto troppo tonto. Uno come Coliandro, così istintivo e muscolare, così incolto e pieno di pregiudizi, non è certo un investigatore brillante alla Ellery Queen. Non solo: dato che stavo forzando i toni perché quella era la piega che prendeva il romanzo, realistico ma un po' caricaturale, l'ho fatto proprio molto tonto, il mio Coliandro. [...]. Terzo errore.
Sì, perché uno può anche essere rambista, machista e anche un po' razzista, uno può anche essere una merda, ma se è onesto, sfigato, sempre nei guai, preso in giro da tutti, diventa un perdente e un perdente onesto. Per quanto merda, almeno entro certi limiti, finisce per esserti simpatico. Così, sotto sotto, nonostante un linguaggio terra terra, poverissimo e pieno di parolacce, farcito di pregiudizi politicamente scorrettissimi, ecco che il personaggio ti sfugge di mano, tira fuori a tradimento i suoi lati umani e ti fa capire che in fondo così machista, rambista e razzista, così merda, poi, non è.
(Carlo Lucarelli, prefazione a Falange armata. Torino Einaudi Stile libero, 2002, pp. VI-VIII)
Ecco come con parole studiatamente semplici, come si trattasse della trascrizione dall'orale allo scritto, ecco come - dicevo - Carlo Lucarelli ci spiega la crescita (narrativamente parlando) del suo Coliandro.
Per noi ormai il volto di Coliandro è quello dell'attore Giampaolo Morelli, il 36enne napolitan-romano che mai si separa da:
1. occhiali da sole Ray-Ban Aviator 3025 (forse 3026)
2. giubbotto di pelle nera comprato in un mercatino (Coliandro non ama granché le marche)
3. maglietta di cotone a pelle con in genere la scritta NYPD
4. Beretta 92 (la pistola d'ordinanza, quando non gliela rubano)
5. distintivo della polizia
6. Adidas ai piedi
7. aria di chi si è appena svegliato e ha appena smaltito i postumi di una sbornia (= faccia da tonto)
Ma c'è anche la versione youtube in cui Lucarelli e Morelli parlano di Coliandro, un poliziotto un po' sfigato e molto goffo (che vorrebbe essere Clint Eastwood) nella Bologna di oggi:
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