giovedì 22 ottobre 2009

Il BLU di Michel Pastoureau

LE GRAND BLEU
(no, non il Mediterraneo)


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SPROLOQUIO INIZIALE.
Meraviglioso libro, piccolo nel numero delle pagine e voluminosissimo per densità di informazioni, gradevole per stile di argomentazione; un piccolo tesoro che purtroppo - e per fortuna - è stato già tradotto in italiano (purtroppo, perché avrei voluto tradurlo io).
Ultima premessa: qua e là tra le cose scritte che riassumono il libro di Pastoureau, ci sono cose dette da me (studiate ai tempi lontani di Glottologia e del compianto prof. Giorgio Raimondo Cardona).


* * *



Michel Pastoreau qui un'intervista di Radio Canada (12'58")

Chi di voi pensasse che il blu è un colore da sempre presente nella nostra (nel senso di occidentale) cultura, sbaglierebbe di grosso.

Ricordate la bella tenuta di Russell Crowe alias Maximus il Gladiatore (sì, quello del film zeppo di errori storici), tutto bello in blu (cfr. foto)? Impossibile.
Impossibile perché per i Romani il blu non esisteva.
Spiego meglio. Non erano certo ciechi, come noi non siamo ciechi se ci addentriamo nella foresta amazzonica e vediamo tutta una sorta di marroni e di verdi e di rossi. Ma tutt'al più possiediamo una gamma di 3-4 forse 5 tonalità o sfumature per indicarli, noi miseri mortali. Così, i Romani vedevano il blu e tutte le sfumature (ciano e ceruleo sono in fondo parole latine), ma si limitavano a indicarlo con un (per noi) troppo vago glauco (etimologicamente, significa "scintillante" ed è un colore tra l'azzurro e il verde).
Tant'è che la parola blu (bleu, blau, blue) viene dal germanico blavus mentre azzurro viene dall'arabo (che non so scrivere correttamente e dunque tralascio).
Ma non era unicamente una questione di visione corretta o di nominalizzazione (per quanto si dica esse est percipi, per dirla volgarmente: esiste solo ciò che è percepito). Il colore blu non gode del gradimento romano, perché [traduco io]: "[esso] è soprattutto il colore dei Barbari, Celti e Germani, che a detta di Cesare e Tacito hanno l'abitudine di tingersi il corpo di questo colore per spaventare i loro avversari. Ovidio aggiunge che, invecchiando, i Germani si tingevano i capelli con il guado [la guède: di questo colore, ottenuto da una pianta che non esiste più, ho parlato qui, n.d.r)], per scurire i capelli bianchi" .
Per un Romano, anche avere occhi azzurri (per non parlare dei capelli rossi e riccioluti) era un deplorevole difetto.



Durante l'Alto Medioevo, il blu resta un colore discreto, appannaggio delle classi contadine o comunque delle persone di basso rango. Il rosso, il bianco e il nero la fanno da padroni nelle classi agiate.

Anche quando nascono i cosiddetti colori liturgici - osserva Pastoureau - il blu ha poco o per nulla spazio: la superiorità cristologica appartiene al bianco. E dopo il bianco, ancora il rosso e il nero.


Ma ecco che nel IX secolo, nell'impero carolingio, comincia a farsi strada questo colore come attributo della Vergine Maria. Prima del XII secolo, tuttavia, il colore ufficiale della Madonna resterà il bianco; blu, tutt'al più, (ma anche azzurro o celeste) sarà il suo mantello. Inizialmente colore di lutto (per la morte del Cristo in croce), il blu si fa via via più luminoso, meno funebre: fintantoché non finisce sulle vetrate delle chiese. A quel punto, il blu mariano si farà luce.


Vitrail au fond et à gauche de la Cathédrale Saint-Pierre de Montpellier

Diventerà in seguito il colore dei Re e segretissime saranno le formule per riprodurre tale o taltaltra nuance di blu. Quel che è più difficile - nei tessuti - sarà mantenere il tenore (insomma, il blu sbiadisce ben presto). Finché non si scopriranno le virtù dell'indaco (ma bisognerà giungere al XVII secolo).

A questo punto, siamo arrivati a poco prima della Riforma, il blu è un colore morale, secondo solo al nero. La Riforma però gli preferirà il nero, il grigio, il bruno o ancora il bianco (il colore della purezza); un piccolo spazio sarà concesso al blu purché sia senza brillantezza, severo, smorto.


Tutte le gradazioni del blu (clicca qui)

A partire dal XVIII sec., il blu è il colore preferito nell'Occidente, soppiantando il rosso. Il colore più noto è quello che chiamiamo blu di Prussia, poco stabile alla luce ma con forte potere colorante (nessuno ha mai voluto i blu délavé, evidentemente, almeno fino ai jeans), inventato per sbaglio - perché è un colore artificiale, contrariamente ai blu ottenuti a partire da lapislazzuli, azzurrite, smalto o piante vegetali (come il girasole o il succitato guado).


Il blu diventa alla moda durante il Romanticismo ; responsabile sarà la marsina di Werther. La sua severa redingote blu (sempre accompagnata da un panciotto giallo) detterà moda e decreterà il successo del blu presso i giovani europei nei 15 anni successivi.

All'epoca della Rivoluzione francese, il blu passa dalla coccarda alla bandiera, divenendo un colore politico e nazionale (ancora oggi, i calciatori francesi vengono detti i Bleus.)
Colore princeps delle uniformi (assieme al grigio), sarà il colore di un'altra uniforme - questa volta, passatemi l'ossimoro, civile - che da oltre 50 anni a questa parte non conosce declino : i jeans.
E se la parola in questione rivela l'origine italiana del termine (letteralmente: di Genova), la variante sopravvenuta nel tempo, il denim, proverrebbe dall'espressione de Nîmes (città della Francia meridionale). Nel 1853 Levi Strauss comincia a produrne; nel 1902 i suoi pantaloni prendono il nome commerciale di blue jeans (erano tinti con l'indaco). E nel 1926 la ditta concorrente Lee, apporterà una modifica introducendo la zip al posto dei bottoni.

Dall'inizio del XX secolo il blu è in testa a tutti i sondaggi circa le preferenze: è di gran lunga il colore più amato. Paradossalmente, oggi può apparire come un colore neutro. Scrive Pastoureau [traduco]:
"[Per il fatto che sia il colore preferito], qualunque sia il sesso, le origini sociali, la professione o il bagaglio culturale, il blu stritola tutto ". Da un lato, cancella le differenze, ma dall'altro - aggiungo io - crea eserciti di divise laiche perfettamente conformi (e conformate). Doppipetti blu, auto blu.

Poeticamente, il blu evoca il cielo e il mare, certo.
Quanto a me, preferisco il nero e il viola.

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Michel Pastoureau, Bleu. Histoire d'une couleur. Paris, Seuil, 2006 (tr. it. BLU. Storia di un colore. Milano, Ponte Alle Grazie, 2008. 12€. Traduzione di Fabrizio Ascari).

©Jacqueline Spaccini - Université de Caen -
Tous droits réservés 2009

6 commenti:

Sileno ha detto...

Grazie per la stupenda lezione che mi sono letto con grande piacere, come ho letto con altrettanto piacere i post sulla grammatica, credo diventerò un suoi affezionato lettore.
Sileno

Jacqueline Spaccini (Artemide Diana) ha detto...

Grazie, Sileno.

Jörg ha detto...

Giunto qui per vie traverse da aNobii ho letto a bocca aperta la tua meravigliosa esposizione e penso proprio che navigherò molto spesso in questo dei tuoi tre blogs.

Complimenti e grazie che lo condividi con noi

Jörg

Jacqueline Spaccini (Artemide Diana) ha detto...

Molto gentile,
Jörg. Grazie!

giacy.nta ha detto...

Un percorso storico, geografico, tecnico davvero piacevole. Mi ha colpito in particolarea la marsina di Werther, così adatta ad interpretare, nel colore, l'umore lunatico, notturno dei romantici.

P.S.
Sono anch'io per il viola ed il nero, a quando una storia di questi colori?

Ciao Giacinta

Jacqueline Spaccini (Artemide Diana) ha detto...

Michel Pastoureau ha scritto Noir, ma attendo che esca in versione economica...

Quanto al viola, beh, credo che scriverà ancora...