martedì 19 novembre 2013

Il Risorgimento spiegato in maniera semplice

È appena uscito per i tipi Le Càriti di Firenze il mio ultimo libro: Quei corpi in cielo senza più calore. Miti  e realtà del Risorgimento: passioni letterarie, illusioni e disillusioni pittoriche

Si tratta di un compendio delle lezioni dispensate, nel 2010, ai miei studenti di Master e a quelli del 2° anno specialisti di italiano presso l'università di Caen Basse Normandie.

Argomento dell'opera è il momento storico in questione, visto secondo un'ottica letteraria e pittorica.






NOTA DELL'AUTRICE

Mi son sempre chiesta perché nella meritevole  enciclopedia Conoscere dei Fratelli Fabbri Editori - destinata ai bimbi e ragazzini italiani, figli della classe operaia e piccolo-borghese degli anni Sessante del secolo scorso -, un'opera nella quale si parlava di tutto, ma proprio di tutto, mi son spesso chiesta, dicevo, perché non ci fosse nemmeno una pagina esplicitamente dedicata al Risorgimento.

Quand'ero liceale, laica e progressista com'ero e come son rimasta, ho continuato a chiedermi perché parlare di Risorgimento o di amor di patria fosse visto con sospetto.

Poi, all'università, approfondendo, tra l'altro, lo studio della storia d'Italia, è venuto il tempo in cui ne ho capito le ragioni. Cioè, le ho comprese ma non le ho fatte mie.

E allora, seppure per vie traverse - cioè, dal punto di vista letterario e pittorico che sono ormai da tempo i miei campi di ricerca -, ecco che propongo ai lettori un rapido sguardo e uno spunto di riflessione su un periodo così pieno di fermenti, ricco soprattutto di esempi positivi per quell'Italia che ancora oggi Franco Battiato - cui rendo esplicitamente omaggio nel titolo parafrasato del libro - definirebbe null'altro che Povera patria. 

Di questi tempi, poi, più che mai.

                                                                       Saint-Cloud, 1° aprile 2011 - 1° settembre 2013



mercoledì 6 novembre 2013

Giacomo Leopardi: l'anima in un abisso di pensieri indeterminati


Giacomo Leopardi nel 1820 (www.wikipedia.it)

16 Gen.1821
Da fanciulli, se una veduta, una campagna, una pittura, un suono ec. un racconto, una descrizione, una favola, un'immagine poetica, un sogno, ci piace e diletta, quel piacere e quel diletto è sempre vago e indefinito: l'idea che ci si desta è sempre indeterminata e senza limiti: ogni consolazione, ogni piacere, ogni aspettativa, ogni disegno, illusione ec. (quasi anche ogni concezione) di quell'età tien sempre all'infinito: e ci pasce e ci riempie l'anima indicibilmente, anche mediante i minimi oggetti. Da grandi, o siano piaceri e oggetti maggiori, o quei medesimi che ci allettavano da fanciulli, come una bella prospettiva, campagna, pittura ec. proveremo un piacere, ma non sarà più simile in nessun modo all'infinito, o certo non sarà così intensamente, sensibilmente, durevolmente ed essenzialmente vago e indeterminato. Il piacere di quella sensazione si determina subito e si circoscrive: appena comprendiamo qual fosse la strada che prendeva l'immaginazione nostra da fanciulli, per arrivare con quegli stessi mezzi, e in quelle stesse circostanze, o anche in proporzione, all'idea ed al piacere indefinito, e dimorarvi. Anzi osservate che forse la massima parte delle immagini e sensazioni indefinite che noi proviamo pure dopo la fanciullezza e nel resto della vita, non sono altro che una rimembranza della fanciullezza, si riferiscono a lei, dipendono e derivano da lei, sono come un influsso e una conseguenza di lei; o in genere, o anche in ispecie; vale a dire, proviamo quella tal sensazione, idea, piacere, ec. perché ci ricordiamo e ci si rappresenta alla fantasia quella stessa sensazione immagine ec. provata da fanciulli, e come la provammo in quelle stesse circostanze. Così che la sensazione presente non deriva immediatamente dalle cose, non è un'immagine degli oggetti, ma della immagine fanciullesca; una ricordanza, una ripetizione, una ripercussione o riflesso della immagine antica. E ciò accade frequentissimamente.
Giacomo Leopardi (Zibaldone)

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È una paginetta celeberrima, tratta da quel diario intimo di riflessioni, annotazioni, scritti che è lo Zibaldone, inteso come miscuglio di cose, e che il poeta scriverà per tutta la sua breve vita. Il brano che riporto, scritto nel gennaio del 1821  è un ulteriore esempio - se mai ve ne fosse bisogno - della grandezza di Leopardi. Un classico è tale quando attraversa i tempi, apparendoci sempre moderno, perché parla ai nostri sensi, al nostro interiore, destandoci sentimenti di meraviglia, facendoci esclamare: è proprio così. Transepocale.

Giunta all'età che ho oggi, leggendo queste poche righe del poeta di Recanati, mi trovo a dire: «è vero».
È vero, spessissimo ho uno scoppio di felicità interiore (Leopardi non azzarda a tanto, dice "piacere") è quando mi trovo a ripercorrere, riprovare, rivedere, un sentimento, una sensazione, un'immagine che appartiene alla mia fanciullezza e che rivivo - sia pure solo per un attimo - nella sua interezza. Una sorta di transustanziazione laica.

Dice il poeta che solo nell'anima dei fanciulli, degli antichi o degli ignoranti può albergare la pienezza di un piacere. Quando si è colti (come Giacomo Leopardi) e/o adulti, la ragione, l'intelletto, la cultura inficiano, intorbidano, annacquano, affogano (usate la metafora che più vi aggrada) la pienezza, la purezza e la spontaneità di quel piacere.

Per questo amiamo la malinconia, da adulti, perché ci precipita l'anima in un abisso di pensieri indeterminati (lo scrive nel luglio del 1820), ciò a cui aspiriamo appare lontano, vago. Irraggiungibile, e per ciò stesso desiderabile. Perché nella natura dell'uomo, aggiungo io e non solo io, sta il lanciare se stesso OLTRE se stesso.

Immaginazione e illusione nutrono i nostri aneliti all'infinito, o meglio all'indefinito, all'insaisissable, dove l'anima si perde.

Leopardi dice tutto ciò all'età di 23 anni. Genio.