lunedì 22 febbraio 2010

Rojões, Tabucchi e me

la foto è tratta dal blog Luís Desenha
di Luís Filipe Gomes


Ieri sera avevo del maiale in bistecchine di lombo che mi attendeva, ma poiché sono abbastanza stanca delle solite lombatine di maiale, ho preso il coltello laguiole e ne ho ricavato una specie di spezzatino di maiale che ho «avvoltolato» in un piatto in cui avevo messo olio e.v.o., origano (un sentore!) e rosmarino. Nel frattempo, come mi è d'uso, avevo messo il (ma io direi: lo) wok con un po' di olio e.v.o., prezzemolo e tre spicchi di aglio (non vestiti).

Ho aggiunto i pezzetti di maiale tutti ben conditi (ma senza sale). Quando si sono rosolati, ho aggiunto un po' di aceto di vino (avrei messo il vino bianco, purtroppo non ne avevo).
Ma mi pareva triste a guardarsi, sicché ho sbucciato e tagliato a grossi cubetti delle patate novelle. Un po' di acqua calda, qualche giratina, il sale (e anche un poco di peperoncino).
Coperchio (traforato) e stand by (cottura a fuoco medio-basso per un bel po', diciamo 15 mn e poi di tanto in tanto rilanciavo coi minuti - diciamo una mezz'oretta in tutto).

Per lavoro, stavo rileggendo il Tabucchi di Damasceno Monteiro.
Mentre il tutto cuoce in cucina, nel salotto giro la pagina e leggo:


«Il piatto di Dona Rosa quel giorno erano rojões
alla moda del Minho.

Forse non era un piatto che si addiceva propriamente
al caldo di Oporto,

ma Firmino ne andava matto, tocchetti di filetto
di maiale cotti in padella

e accompagnati da patate rosolate» (1).


i miei rojões di ieri sera


Quel che stavo cucinando io.
Come si chiamava quel film di Lelouche? Hasard ou coïncidences ? Ecco, io direi: hasard et coïncidences...

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(1) Antonio Tabucchi, La testa perduta di Damasceno Monteiro. Milano, Feltrinelli, 1997, p. 59.
Sì, lo so, la ricetta di Tabucchi non è corretta: i rojões alla moda di Minho non sono proprio così, ed io non ho messo le castagne né tantomeno fegato di porco, o chiodi di garofano. Portate pazienza.

martedì 2 febbraio 2010

Expo L'Âge d'or hollandais (Parigi)


Antefatto
Nel mese di novembre sono andata ad Amsterdam e non ho potuto vedere alcuni quadri del Rijksmuseum perché si trovavano nella Pinacothèque de Paris per una mostra dedicata alla cosiddetta «Età d'oro olandese». Sicché oggi sono andata. Lunga fila all'esterno e prezzo biglietto 10€.



Capolavori castigati in un bugigattolo buio
Note sulla mostra



C'è stato un tempo in cui la pittura fiamminga fu capita - oltreconfine - solo da Antonello da Messina. C'è poi stato un altro tempo, in cui gli olandesi, da un punto di vista della produzione pittorica, se volevano esser noti, dovevano passare per l'Italia e talvolta modificavano pure il loro cognome [1].

Da molto tempo la pittura fiamminga è amata e apprezzata (quando dico "fiamminga" intendo quella del '400, quella di van Eyck, di Christus, di van der Weyden, di Memling; quelli di Antonello da Messina per intenderci). Dall'inizio del '900 - soprattutto grazie a Proust - la pittura olandese è fonte di attenzione e ammirazione vivissime.

Da alcuni anni l'arte (soprattutto dipinti e porcellana blu di Delft) olandese viaggia attraverso il mondo offrendo al pubblico di estimatori varie mostre, più o meno buone, sul cosiddetto secolo dell'età d'oro, vale a dire il '600 (o XVII secolo).


Soprattutto per quel che è della ritrattistica (ma anche le nature morte, soprattutto nella versione vanitas), divenuto un genere a parte, visto l'enorme successo (puramente commerciale) che la borghesia agiata olandese le attribuì. Perché solo commerciale? In primo luogo, perché fino al XVII secolo compreso il prestigio di un'opera dipendeva dal valore storico o morale del soggetto rappresentato sulla tela (o sulla tavola in legno).

La pittura dei Paesi a forte maggioranza luterana, calvinista o zwingliana ebbe di fronte a sé il grave problema di perdita di committenza per soggetti religiosi (i templi non vanno decorati, ricorderete l'iconoclastia).
Ma i pittori mangiano come gli altri. Sicché in Olanda per esempio i ritratti di famiglia furono un ottimo mezzo per sbarcare il lunario, fornendo un lavoro sempre decoroso. Certo, se poi si era Hals (1580-1666), Rembrandt (1606-1669) o Vermeer (1632-1675), si era comunque pittori molto quotati anche per i ritratti.

Con la rivalutazione della ritrattistica olandese, in fin dei conti una forma di discreta ostentazione della propria ricchezza, in principio vi furono i soli soggetti raffigurati - in nero,. Il genere previde poi l'introduzione sullo sfondo degli accessori denotanti tale opulenza (mobili, oggetti preziosi; in seguito addirittura manieri), nonché la fonte di tanto benessere (il porto con le navi, per esempio).


I soggetti che però più attirano il pubblico europeo sono le scene d'interno, in cui eccellono Vermeer e il mio amato Pieter de Hooch. Anche gli altri dipingevano scene di interni, si pensi al Cristo nella casa di Marta e Maria di Velázquez, ma gli olandesi sono i primi a non dover fornire un pretesto religioso al loro dipinto per poterlo rappresentare.


Dalla grande lezione di Jan van Eyck hanno appreso la cura dei particolari (si guardi l'attenzione al secchio nickelato della cliente insoddisfatta del lavoro sartoriale nel quadro di van Brekelenkam).

Non è un caso che gli preferisca però de Hooch, ancor più intimo di Vermeer, meno coraggioso forse, ma con uno stile tutto suo nella rappresentazione pittorica di quel ceto che non è la borghesia opulenta né i contadini evocanti i Frères Le Nain, giusto più infreddoliti.


Innanzitutto, la sua intimità: quel che Eugène Fromentin ha chiamato la sua «tendresse pour le vrai, cordialité pour le réel» (tenerezza per il vero e la cordialità con il reale).
Zoom sull'opera in questione

E poi Hooch sa trasporre la luce mediterranea, quella luce italiana che gli Olandesi non potevano che copiare, ahimè loro.



Ma la luce italiana si concentrava tutta sugli esterni, in quelle campagne stereotipate, quei paesaggi arcadici che tanto debbono a Nicolas Poussin; de Hooch la fa entrare in casa.


Dopo di lui, forse solo Jan van der Heyden (qui sopra, un suo quadro) porterà quella luce nei dipinti olandesi (1662). Ma siamo di nuovo in uno spazio aperto...


Finisco con due quadri di due grandi: Rembrandt (che non amo, quindi dirò pochissimo) e Vermeer (che se confrontato a suoi coevi, si noterà anche in lui un certo copia&incolla, pregiatissimo per carità).

La cosa più bella (il suo centro di interesse) della Decapitazione di San Giovanni Battista è tutta nella faccia (ennesimo autoritratto) del boia. E certo, la strutturazione dello spazio (molto molto italianizzante).

La lettera d'amore di Vermeer è un quadro abbastanza piccolo e difficile a vedersi (cfr. locandina della mostra, qui in alto) se non si è proprio vicino. Presumo fosse davvero bello (stavo in terza fila, come le auto in sosta selvaggia).

E qui vengo alla pecca - la grande pecca - di questa mostra. Di quadri interessanti ve n'erano tanti (in tutto oltre 130), ma lo spazio era angusto, senza respiro, privo di luce e affidato a quell'odiosa moda (l'ho subìta pure al Louvre quando ci fu la mostra dedicata al Mantegna, sett. 2008-gen. 2009) di mettere tutti i quadri al buio con dei farettini che non fanno bene nemmeno ai quadri (tanto più a degli oli).
Gli stessi quadri al Rijksmuseum sono esibiti sotto una luce non naturale, ma nemmeno così beduina che ha sacrificato ad esempio tutta la bellezza dei quadri di Jacob van Ruisdael.

Belle le blue delft porcelain esibite e gli argenti.


Metto per ultimo un quadro di de Witte, La sinagoga portoghese di Amsterdam, a riprova che il detto "fortunato come un cane in chiesa", da leggersi ovviamente in senso antifrastico, è assolutamente errato. Sì, è una sinagoga, ma ho visto lo stesso soggetto (il cane) anche nei templi e nelle chiese. Dipinti olandesi, sì. Del '600, certo.

Mostra affollatissima, al 90% composta da un pubblico femminile, dai 50 anni in su.



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[1] È il caso di Jakob de Heusch che prese il soprannome di "Il Copia" o di Gaspar Van Wittel che mutò il cognome in Vanvitelli. Il figlio Luigi, può essere considerato invece interamente italiano, essendo nato a Napoli, vissuto in Italia e morto a Caserta.